Votata la relazione della commissione banche
Il presidente Pier Ferdinando Casini mantiene la parola data il 17 gennaio 2018 votata a maggioranza la relazione che accerta le responsabilità di un sistema finanziario che non ha tutelato i risparmiatori soci e clienti delle banche, trasformandoli in vittime innocenti e con il fondo di ristoro finanziario approvato il 27/12/2017 legge 327 votato all’unanimità, potranno essere rimborsati, caso unico al mondo e nella storia.
Onore a tutti i parlamentari che hanno condiviso e promosso questo progetto di vita.
COMMISSIONE D’INCHIESTA BANCHE RELAZIONE scarica file
RELAZIONE DI MAGGIORANZA
RELATORE SEN. MAURO MARIA MARINO
Sommario
- L’avvio dei Lavori: le Indagini Conoscitive sul Sistema Bancario del 2015 e del 2016. 3
- Obiettivi e Poteri della Commissione di Inchiesta. 4
- L’ordine dei lavori e i Lavori della Commissione. 5
- Gli effetti sul sistema bancario della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell’aggravamento del debito sovrano (art.3, lettera a) 7
- La gestione degli istituti bancari che sono rimasti coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto e sono stati o sono destinatari, anche in forma indiretta, di risorse pubbliche o sono stati posti in risoluzione (art.3, lett.b) 9
5.1 Monte dei Paschi di Siena. 11
5.2 Le quattro banche in risoluzione: Banca Marche, BPEL, Cariferrara e Carichieti. 16
5.3 Le due banche venete: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. 18
- L’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari poste in essere dagli organi preposti, in relazione alla tutela del risparmio, alla modalità di applicazione delle regole e degli strumenti di controllo vigenti, con particolare riguardo alle modalità di applicazione e all’idoneità degli interventi, dei poteri sanzionatori e degli strumenti di controllo disposti, nonché all’adeguatezza delle modalità di presidio dai rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati (art.3, lett. c) 21
- Le tre diverse soluzioni adottate per le crisi delle sette banche. 25
7.1 La risoluzione delle quattro banche commissariate. 27
7.2 La ricapitalizzazione precauzionale di MPS.. 29
7.3 La liquidazione delle due banche venete. 31
8.1. La vigilanza nel contesto della Mifid 2.. 33
9.4. Riforma del diritto penale dell’economia. 44
La Commissione d’Inchiesta sul Sistema bancario e finanziario (la “Commissione”) è stata istituita con Legge n. 107 del 12 luglio 2017, entrata in vigore a partire dal 28 luglio 2017 (“Legge Istitutiva”).
All’avvio dei lavori la Commissione ha acquisito nella sua documentazione, e ha tenuto conto nei suoi lavori, due Indagini Conoscitive della Commissione Finanze e Tesoro del Senato.
La prima Indagine si è svolta nel corso dell’intero anno 2015. A conclusione dei suoi lavori, nel dicembre del 2015, la Commissione aveva individuato tre principali questioni sulle quali aveva espresso alcune valutazioni:
- la separazione/divisione tra l’attività bancaria tradizionale e quella finanziaria;
- gli effetti della vigilanza europea sul sistema bancario e le prospettive di riassetto del sistema;
- le misure sui crediti deteriorati e le sofferenze bancarie.
La seconda Indagine ha preso avvio nel gennaio 2016 e si è conclusa nel febbraio 2017.
Anche la relazione conclusiva della seconda “Indagine Conoscitiva sul Sistema bancario e finanziario italiano” evidenziava con riferimento al sistema bancario italiano una serie di problematiche che sono state ulteriormente approfondite dalla Commissione di Inchiesta:
- La scarsa redditività delle banche italiane;
- L’assetto della Vigilanza per finalità;
- Il nuovo e più complesso quadro regolamentare e di vigilanza europeo dell’Unione Bancaria.
Con riferimento alle cause delle crisi bancarie recenti emergevano, seppur con riferimento a singole banche, i seguenti aspetti:
- Problematiche relative allo svolgimento dell’attività creditizia;
- Aumenti di capitale attuati in notevole misura attraverso finanziamenti erogati ai sottoscrittori delle azioni;
- L’utilizzo esteso di emissioni di obbligazioni subordinate il cui grado di rischio non sempre veniva correttamente evidenziato;
- La notevole crescita dei Non performing Loans –
A seguito dei recenti lavori della Commissione di Inchiesta è possibile affermare che le problematiche sollevate dalle due precedenti Indagini coglievano, seppur non ancora compiutamente, gli aspetti problematici inerenti l’attività bancaria, l’attività di vigilanza e gli interventi legislativi necessari.
La Commissione Finanze e Tesoro a conclusione dei suoi lavori aveva proposto di proseguire i lavori con l’esame dei diversi disegni di legge istitutivi di una Commissione di Inchiesta Parlamentare ed aveva indicato gli indirizzi da seguire nell’attività dell’inchiesta, indirizzi ampiamente accolti nella Legge istitutiva della Commissione d’Inchiesta.
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3 della Legge Istitutiva, alla Commissione è stato affidato il compito di verificare:
“a) gli effetti sul sistema bancario italiano della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell’aggravamento del debito sovrano;
- b) la gestione degli istituti bancari che sono rimasti coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto e sono stati o sono destinatari, anche in forma indiretta, di risorse pubbliche o sono stati posti in risoluzione. In particolare, per tali istituti la Commissione verifica:
1) le modalità di raccolta della provvista e gli strumenti utilizzati;
2) i criteri di remunerazione dei manager e la realizzazione di operazioni con parti correlate suscettibili di conflitto di interesse;
3) la correttezza del collocamento presso il pubblico, con riferimento ai piccoli risparmiatori e agli investitori non istituzionali, dei prodotti finanziari, soprattutto di quelli ad alto rischio, e con particolare riguardo alle obbligazioni bancarie;
4) le forme di erogazione del credito a prenditori di particolare rilievo e la diffusione di pratiche scorrette di abbinamento tra erogazione del credito e vendita di azioni o altri strumenti finanziari della banca;
5) la struttura dei costi, la ristrutturazione del modello gestionale e la politica di aggregazione e fusione;
6) l’osservanza degli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza nell’allocazione di prodotti finanziari, nonché degli obblighi di corretta informazione agli investitori;
- c) l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari poste in essere dagli organi preposti, in relazione alla tutela del risparmio, alla modalità di applicazione delle regole e degli strumenti di controllo vigenti, con particolare riguardo alle modalità di applicazione e all’idoneità degli interventi, dei poteri sanzionatori e degli strumenti di controllo disposti, nonché all’adeguatezza delle modalità di presidio dai rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati;
- d) l’adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario, nonché sul sistema di vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie.”
La Commissione, pur nel limitato tempo a disposizione, ha svolto la propria attività di inchiesta avvalendosi degli strumenti tipici a propria disposizione, meglio precisati nella Legge Istitutiva, all’art. 4 ed all’art. 5.
In particolare, la Commissione ha assunto informazioni in sede di audizione libera, avvalendosi, ove ritenuto necessario od opportuno anche dello strumento della testimonianza formale ed ha altresì acquisito la documentazione relativa alle questioni oggetto di indagine o comunque ritenuta rilevante per il compimento delle stesse.
Quanto sopra potendo disporre dei medesimi poteri e limitazioni – nello svolgimento dell’indagine – dell’autorità giudiziaria ed in ogni caso nel rispetto di quanto disposto in apposito Regolamento Interno (il “Regolamento”), avendo cura di osservare, pur nell’ambito dei medesimi poteri, i limiti posti alla propria attività di indagine dalla normativa applicabile al processo penale.
La Commissione, in sede di programmazione dei lavori, ha deciso di concentrare l’analisi ricostruttiva dei fatti all’origine della crisi sulle vicende che hanno interessato gli istituti bancari negli ultimi anni e che hanno comportato un intervento diretto dello Stato. Fattore rilevante per la determinazione dell’ordine di priorità delle audizioni, specie con riferimento alle finalità di cui al punto b) della legge istitutiva, è stato il criterio di attualità, alla stregua del quale è parso ragionevole partire dalle audizioni sugli interventi più vicini che i governi pro tempore hanno posto in essere, per poi risalire a ritroso a quelli più lontani.
In primo luogo, si è deciso di svolgere un approfondimento di carattere generale sui temi che la legge istitutiva ha prescritto alla Commissione di verificare, attraverso l’audizione del dottor Luigi Orsi, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, e il dottor Francesco Greco, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
La Commissione, con queste audizioni introduttive, era interessata a comprendere se le situazioni di crisi bancaria ponessero l’esigenza di modifiche della legge penale sotto molteplici profili: quello sanzionatorio, quello di definizione delle fattispecie, quello degli strumenti di indagine o quello delle regole processuali.
Per quanto attiene all’analisi dei singoli istituti bancari, l’indagine ha avuto a oggetto, nel rispetto del criterio cronologico inverso: Veneto Banca, Banca popolare di Vicenza, Monte dei Paschi di Siena, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio di Chieti.
In tutti i casi si è adottato un criterio metodologico comune, che ha consentito l’approfondimento dei diversi profili coinvolti: la ricostruzione della vicenda processuale, la gestione degli istituti, la tutela dei risparmiatori convolti, l’attività di vigilanza.
Per le banche venete, sono stati auditi il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, dottor Giuseppe Pignatone e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza, dottor Vincenzo Cappelleri, titolari delle inchieste che hanno coinvolto i due istituti di credito. Sono stati quindi auditi i rappresentanti di alcune associazioni dei risparmiatori e, successivamente, il Capo del dipartimento della vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, dottor Carmelo Barbagallo e il direttore generale della Consob, dottor Angelo Apponi. Infine, si è proceduto all’audizione dei Commissari liquidatori di Veneto banca e di Banca popolare di Vicenza, avvocato Alessandro Leproux, professoressa Giuliana Scognamiglio, dottor Fabrizio Viola, dottor Claudio Ferrario e professor Giustino Di Cecco.
La Commissione ha deliberato altresì di audire il dottor Gianni Zonin, ex Presidente di Banca Popolare di Vicenza, il dottor Pietro D’Aguì, ex dirigente di BIM, e il dottor Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca.
Per quanto concerne il Monte dei Paschi di Siena, sono stati auditi i Sostituti Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dottor Giordano Ernesto Baggio e dottor Stefano Civardi, nonché il Procuratore Capo della Repubblica di Siena, dottor Salvatore Vitello. Sono stati quindi auditi, in rappresentanza dei risparmiatori, le associazioni in seno al Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli utenti. Si è proceduto poi all’audizione del dottor Carmelo Barbagallo e del dottor Angelo Apponi, relativamente ai profili connessi all’attività delle Autorità di vigilanza, nonché all’audizione del colonnello Pietro Bianchi, responsabile del nucleo di polizia valutaria nell’ambito dell’indagine sul Monte dei Paschi di Siena. Infine, sono stati ascoltati il dottor Alessandro Falciai e il dottor Marco Morelli, rispettivamente Presidente e amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena.
Con riferimento alle quattro banche dell’Italia centrale poste in risoluzione, sono stati auditi i Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara, dottoressa Patrizia Castaldini, presso il Tribunale di Ancona, dottoressa Elisabetta Melotti, presso il Tribunale di Arezzo, dottor Roberto Rossi, presso il Tribunali di Chieti, dottor Francesco Testa. E’ stato audito il dottor Roberto Nicastro, Presidente degli enti ponte delle quattro banche poste in risoluzione e, a seguire, esponenti delle associazioni di risparmiatori. Sono stati infine auditi, per le questioni connesse alla vigilanza, il dottor Carmelo Barbagallo e il dottor Giuseppe D’Agostino, vice direttore generale della Consob. Da ultimo è stato audito il dottor Federico Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit.
Completato l’approfondimento delle vicende e delle problematiche inerenti alla crisi dei singoli istituti bancari, la Commissione ha convenuto di svolgere le audizioni dei soggetti istituzionali di vertice, nonché di esperti in materia economica e finanziaria, che potessero fornire i riferimenti di carattere tecnico e politico essenziali per il completamento dell’attività di inchiesta, con riferimento all’efficacia delle attività di controllo nazionali ed europee, e con riguardo all’analisi degli effetti sul sistema bancario italiano della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell’aggravamento del debito sovrano.
A tal fine, sono stati auditi il Presidente della Consob, dottor Giuseppe Vegas e il Governatore della Banca d’Italia, dottor Ignazio Visco; il dottor Ignazio Angeloni, rappresentante della Banca Centrale Europea; il dottor Vincenzo La Via e la dottoressa Maria Cannata, rispettivamente, direttore generale e dirigente generale del Tesoro; il dottor Andrea Lupi, Procuratore presso la Procura Generale del Lazio della Corte dei Conti; il professor Salvatore Maccarone, Presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi; il professor Guido Tabellini, già rettore della Università Bocconi di Milano; il professor Luca Ricolfi, ordinario di psicometria presso l’Università di Torino; la dottoressa Grazia Colacicco, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano; l’ingegner Flavio Valeri, amministratore delegato di Deutsche Bank Italia.
Infine, la Commissione ha audito il Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF), professor Pier Carlo Padoan, nonché il dottor Fabrizio Saccomanni, il professor Vittorio Grilli e il senatore a vita professor Mario Monti, già ministri dell’economia e delle finanze. Il senatore Tremonti, analogamente invitato in qualità di Ministro dell’Economia e delle Finanze pro tempore, ha comunicato di non voler prendere parte all’audizione.
- Gli effetti sul sistema bancario della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell’aggravamento del debito sovrano (art.3, lettera a)
La Commissione ha indagato sugli effetti della crisi finanziaria internazionale che ebbe origine nel 2007 e sulle conseguenze dell”aggravamento del debito sovrano del 2011.
Come ampiamente noto e ricordato da numerosi auditi, la crisi finanziaria internazionale prende avvio nel 2007 negli Stati Uniti, sino ad agosto 2008 investe i mercati anglosassoni e coinvolge principalmente i grandi intermediari finanziari attivi nell’investment banking e/o gli intermediari che detengono in bilancio ingenti portafogli titoli, all’interno dei quali erano presenti in misura consistente anche strumenti derivanti direttamente o indirettamente da operazioni di cartolarizzazione, soprattutto di mutui sub-prime. L’opinione prevalente è che in questa prima fase (2007-2008) la crisi non coinvolga o al più sfiori le banche europee ma non riguardi le banche italiane.
Dal settembre 2008 la crisi si diffonde pesantemente anche in Europa, a seguito del succedersi dei crolli di intermediari americani tra settembre-ottobre 2008. Il contagio si manifesta dapprima attraverso gli effetti indotti sul mercato interbancario, sui portafogli titoli delle banche, sulle quotazioni dei titoli e di quelli bancari in particolare; il contagio si manifesta ancor più nella prima parte del 2009 quando si percepiscono chiari segnali di recessione che iniziano a comportare rilevanti effetti negativi sulla qualità dei crediti bancari. L’effetto immediato della crisi finanziaria internazionale, quando si propaga in Europa, è quello di rendere difficile per le banche finanziarsi sui mercati. Una prima risposta generalizzata delle banche di tutti i paesi, anche di quelle italiane, è di stringere i rubinetti del credito e ridurre l’attivo.
La crisi nel 2009 si è evoluta da eminentemente finanziaria – che aveva in prevalenza coinvolto le maggiori banche ad operatività internazionale e i mercati degli strumenti finanziari – a crisi reale, con impatto diffuso sui sistemi economici e sulla crescita.
La ripresa che si realizza tra il 2009 e la prima parte del 2010 è di breve durata; la crescita dell’economia mondiale mostra segni di decelerazione nel corso dell’estate. Nell’ agosto del 2010 si manifestano le tensioni sui mercati dei titoli di Stato di Grecia, Irlanda e Portogallo, innescate da rinnovate preoccupazioni circa le condizioni dei conti pubblici e delle banche di quei paesi.
A partire dal 2011 la situazione in Europa diviene più complessa e più diversificata. Si determina una marcata instabilità sui mercati finanziari che sfocia nelle crisi del debito sovrano di numerosi paesi (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). In questo scenario venne messa in dubbio la tenuta dell’Europa.
L’Italia si avvia verso la seconda recessione, una recessione che sarà molto lunga, più lunga che in altri paesi anche a causa delle politiche di bilancio imposte dall’Europa e che si riflette inevitabilmente sulle banche, che continuano ad applicare criteri molto stringenti nell’erogazione del credito a causa dei più elevati coefficienti patrimoniali minimi richiesti dalla normativa di Basilea. La stretta creditizia si ripercuote in modo rilevante, ben più rilevante che in altri paesi, sul sistema delle imprese italiane, sistema debole sia a causa delle dimensioni di queste ultime, molto più piccole di quelle europee, sia perché si tratta di un sistema poco capitalizzato e specularmente molto indebitato, quasi esclusivamente nei confronti delle banche. Come noto, infatti il sistema finanziario italiano è un sistema banco-centrico.
Alcuni dati, ricordati dal Governatore Visco, danno conto di ciò. In Italia, tra il 2007 e il 2013, il PIL è diminuito del 9 per cento; la produzione industriale di quasi un quarto; gli investimenti di poco meno del 30 per cento; quelli in costruzioni, fino al 2015, di quasi il 40. Ancora oggi il prodotto è inferiore del 6 per cento rispetto al livello dell’inizio del 2008.
La lunga recessione ha acuito le difficoltà delle banche più deboli e mal gestite e può essere certamente considerata tra le principali cause delle crisi bancarie che si sono verificate negli ultimi anni.
L’Italia, in Europa, è stato l’ultimo paese in ordine di tempo ad affrontare numerose crisi bancarie che tuttavia, complessivamente sino ad oggi, hanno coinvolto il 10 per cento del sistema in termini di totale attivo. In Italia le crisi bancarie sono tutte deflagrate nella fase finale del decennio della lunga crisi finanziaria ed economica.
Come ricordato dal Governatore Visco nella sua audizione, “Nel complesso queste crisi hanno richiesto allo Stato italiano interventi che hanno comportato un costo di gran lunga inferiore rispetto a quello sostenuto da altri paesi europei. Alla fine del 2016, l’impatto sul debito pubblico delle misure di sostegno ai settori finanziari nazionali ammontava a 227 miliardi in Germania (il 7,2 per cento del PIL tedesco), a 101 nel Regno Unito (4,3 per cento), a 58 in Irlanda (22 per cento), a 52 in Spagna (4,6 per cento), a 33 in Austria (9,5 per cento), a 23 nei Paesi Bassi (3,2 per cento); la media per l’area dell’euro era pari al 4,5 per cento del prodotto. In Italia l’impatto è attualmente stimato in circa 13 miliardi, lo 0,8 per cento del PIL. Anche se secondo alcuni tale cifra sottostima l’intervento finale a carico dello Stato, in ogni caso “il costo degli interventi pubblici di sostegno al settore finanziario italiano è assai contenuto nel confronto internazionale, nonostante che da noi la caduta dell’economia reale sia stata ben più grave che in altri paesi”. Accanto a tali costi, tuttavia bisogna considerare i costi crescenti delle crisi bancarie sostenuti dal sistema bancario nel suo complesso e, ancor più importante, i costi sostenuti dai numerosi risparmiatori ai quali sono stati venduti titoli delle banche in crisi al di fuori delle regole previste dalla normativa.
- La gestione degli istituti bancari che sono rimasti coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto e sono stati o sono destinatari, anche in forma indiretta, di risorse pubbliche o sono stati posti in risoluzione (art.3, lett.b)
La Commissione nella prima parte dei suoi lavori si è concentrata sulle più recenti crisi bancarie. Si tratta, come si è detto, delle seguenti sette banche:
- Monte dei Paschi di Siena (MPS),
- Banca Popolare di Vicenza (BPVI),
- Veneto Banca (VB),
- Banca delle Marche (BM),
- Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL),
- Cassa di Risparmio di Ferrara (CariFerrara),
- Cassa di Risparmio di Chieti (Carichieti).
Le sette banche hanno caratteristiche istituzionali e dimensioni diverse.
Tre banche appartengono alla categoria delle banche popolari: BPVI, VB e BPEL.
Tutte e tre per dimensioni rientrano nella riforma per la trasformazione in s.p.a. entro il 2016 delle banche popolari maggiori, varata con decreto-legge n. 3/24 gennaio 2015, convertito con legge n. 33/2015, seppure BPEL avesse già volontariamente ed autonomamente intrapreso un percorso per la trasformazione in s.p.a.
Le altre quattro banche sono banche s.p.a. nel cui assetto proprietario all’avvio della crisi erano presenti, con un ruolo di rilievo, una o più fondazioni bancarie (originarie delle banche in questione).
Le dimensioni delle sette banche sono molto diverse; come già ricordato, complessivamente tali banche avevano nel 2007 (anno di avvio della crisi finanziaria internazionale) un peso sul totale del sistema, in termini di totale attivo, pari al 10 per cento. Monte dei Paschi di Siena è la banca più rilevante per dimensioni con un peso pari a circa due terzi delle banche in crisi e al 6,5per cento del sistema ed è l’unica banca indipendente, tra le 7 oggetto di indagine, ancora oggi sul mercato, seppur di proprietà a maggioranza dello Stato. Le due banche venete rappresentavano il 18 per cento del totale delle sette banche (le dimensioni di BPVI nel 2007 erano maggiori ma negli anni successivi le dimensioni delle due banche diventano simili) e l’1,8 per cento del sistema mentre le 4 banche, di dimensioni ben più piccole, al loro interno ulteriormente diversificate per dimensioni, rappresentavano il rimanente 16,6 per cento delle banche in crisi e l’1,7 per cento, del sistema, con la netta prevalenza di Banca Marche.
Monte dei Paschi di Siena e le due banche venete, a causa delle loro dimensioni, dal 4 novembre 2014 sono sotto la vigilanza diretta del Single Supervisory Mechanism (SSM).
Infine, solo 2 delle 7 banche erano banche quotate, MPS e BPEL, mentre la quotazione delle due banche venete nel 2016 non ha avuto esito positivo.
Monte dei Paschi di Siena, che all’epoca rappresentava la terza banca italiana per dimensioni di totale attivo, aveva già nel 2007 un modello di business più diversificato delle altre banche in crisi, modello che si caratterizzava per una minore, ma sempre elevata, incidenza del portafoglio prestiti sull’attivo (69 per cento) e una maggiore incidenza del portafoglio titoli, intorno al 20 per cento. Inoltre, l’incidenza dei depositi da clientela (escluse le obbligazioni) sul totale attivo è inferiore (40 per cento) a quella delle altre banche. Le altre sei banche, hanno un modello di business molto orientato all’intermediazione in crediti (con un’incidenza sul totale attivo che va dal 78 all’87 per cento) e pertanto molto esposte alle conseguenze della recessione degli anni successivi. Come è stato ricordato dal Governatore della Banca d’Italia “Si tratta di banche che avevano la loro operatività prevalente in territori duramente colpiti dalla recessione”.
In conclusione, le sette banche nel 2007, quando prende avvio (non in Italia) la crisi finanziaria internazionale, sono, considerate le loro dimensioni, in linea con il sistema e redditizie.
Le cause di queste sette crisi sono molto simili e possono essere distinte in due grandi categorie: cause primarie e cause da esse indotte.
Tra le cause primarie troviamo in tutti casi debolezze nella governance sia a livello di alta governance (Consigli di Amministrazione e Collegi Sindacali deboli ed autoreferenzialità di AD e/o Presidenti) sia a livello di funzioni di controllo. La Commissione è giunta anche al convincimento, sulla base delle dichiarazioni degli auditi e dei documenti acquisiti, che non sempre i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle banche disponessero dei livelli di competenza tecnica indispensabili per l’esercizio delle elevate responsabilità e della gravosità dei compiti connessi con lo svolgimento della carica.
In secondo luogo, la crisi si sviluppa nell’area crediti dove si riscontrano tre fattori: un periodo di intensa crescita effettuata anche tramite acquisizioni precedente allo scoppio della crisi aziendale, politiche del credito complessivamente inadeguate e rischiose (talvolta relative a parti correlate e suscettibili di conflitto d’interesse, in violazione dell’art. 136 T.U.B.) e da ultimo, come moltiplicatore della crisi, e quindi causa indotta, la lunga doppia recessione italiana.
Solo in un caso, MPS, tra i fattori primari di crisi vi è una componente che si sviluppa nell’area Finanza determinata da una rilevante attività in derivati e di carry trading su titoli di Stato che porta a sua volta ad una crisi di liquidità.
Le banche, tutte, anche perché costrette dalle autorità di vigilanza e da normative sui coefficienti patrimoniali vieppiù stringenti, a fronte delle prime difficoltà e dell’emersione delle prime perdite effettuano aumenti di capitale sia attraverso emissioni azionarie sia attraverso emissioni di prestiti subordinati. In molti casi con riferimento a tali aumenti sono emerse criticità che hanno dato luogo a procedimenti sanzionatori amministrativi e talvolta penali. Tali criticità, pur diverse tra loro perseguivano lo scopo di mostrare, quand’anche non raggiunti, il rispetto dei coefficienti patrimoniali imposti dalla normativa. Sono cioè modalità di aggiramento delle regole di vigilanza che diverranno, una volta che verranno individuate, cause indotte di aggravamento della crisi.
Da ultimo, man mano che emergono perdite su crediti sempre più rilevanti e/o elevate perdite da parte dei sottoscrittori di azioni e obbligazioni subordinati, subentra una grave crisi di fiducia che porta a crisi di liquidità gravi che conducono al dissesto e a soluzioni, seppur differenziate, delle crisi.
Cause delle crisi
MPS | BPVI | VB | BM | BPEL | CARIFE | CARICH | ||
Cause primarie | Governance | X | X | X | X | X | X | X |
Elevata crescita prima della crisi | X | X | X | X | X | X | X | |
Credito “facile”:
cattiva organizzazione, istruttorie di fido inadeguate, violazioni di norme e regolamenti interni. Eccessiva concentrazione del portafoglio (settore immobiliare, grandi prenditori) |
X | X | X | X | X | X | X | |
DOPPIA RECESSIONE dal 2009 al 2015 | X | X | X | X | X | X | X | |
Finanza: elevato trading con eccessiva trasformazione delle scadenze e problematiche di liquidità | X
(e operazioni per spalmare le perdite su più anni Alexandria e Santorini) |
|||||||
Sopravalutazione azioni | X | X | ||||||
Cause indotte dalle prime | Ritardata emersione NPL e successive rilevanti perdite su crediti | X | X | X | X | X | X | X |
Coefficienti patrimoniali non corretti | X Fresh | X
Operaz. baciate |
X
Operaz. baciate |
X
acquisti incrociati |
||||
Vendita di Obbligazioni subordinate a clientela retail | X | X | X | X | X | X | X | |
Crisi di liquidità | X | X | X | X | X | X | X |
5.1 Monte dei Paschi di Siena
Monte dei Paschi di Siena è certamente la banca che ha avuto la crisi più complessa e più lunga i cui esiti potranno valutarsi compiutamente solo tra qualche anno.
MPS è l’unica tra le sette banche oggetto di indagine la cui crisi si è sviluppata sia nell’area finanza, all’interno della quale sono state poste in essere operazioni complesse di finanza strutturata, di carry trade e d’investimento a leva in titoli di Stato italiani, sia nella più tradizionale attività in crediti. Accanto ad una gestione poco prudente, inoltre, il management della banca ha posto in essere operazioni irregolari con l’obiettivo di occultare (diluire nel tempo) le perdite dell’area finanza, mostrare un livello di patrimonializzazione superiore a quello reale. Tale situazione ha potuto verificarsi nella prima fase della crisi a causa di gravi debolezze nella governance della banca. Infine, soprattutto a causa delle difficoltà dell’area finanza e a seguito dell’emergere delle irregolarità che impattano negativamente sulla fiducia da parte dei depositanti, emergono a partire dal 2012 anche rilevanti problematiche di liquidità che comportano ripetuti interventi di sostegno da parte di Banca d’Italia. Nelle vicende MPS è altresì vero che hanno avuto un ruolo negativo le strategie tese al mantenimento del controllo da parte del suo maggiore azionista, la Fondazione MPS, che hanno certamente contribuito all’azzeramento del valore del capitale della banca, con evidente impatto sul tessuto sociale nel quale essa era profondamente radicata.
La situazione già gravemente compromessa è ulteriormente condizionata dalla lunga recessione che impatta notevolmente sul portafoglio crediti a partire dal 2012 e dall’inasprimento delle regole di vigilanza sui coefficienti patrimoniali soprattutto dopo il 2014.
La crisi di MPS si è sviluppata lungo l’arco di un decennio, attraversando diverse fasi critiche che di seguito vengono ripercorse più in dettaglio.
L’avvio della crisi è da ricondurre alla decisione del Consiglio di Amministrazione dell’8 novembre 2007 di acquisizione del gruppo Antonveneta (in seguito autorizzata dalla Banca d’Italia), al prezzo di circa 9 miliardi e soprattutto alle modalità con cui la banca realizza gli aumenti di capitale necessari per effettuare l’operazione (in particolare attraverso l’emissione di uno strumento ibrido subordinato per 1 miliardo riservato a JP Morgan Securities Limited, che lo sottoscrive utilizzando le somme ricevute dall’emissione di titoli convertibili in azioni MPS (c.d. “FRESH” – Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid) e “apparentemente” rispettare i coefficienti patrimoniali richiesti (ottobre 2008).
Si evidenzia come sia emerso che l’acquisizione di Antonveneta, sottoposta al vaglio o comunque conosciuta dagli organismi di vigilanza, sia stata avviata e realizzata senza una preventiva due diligence, giustificabile solo nell’ottica di un’acquisizione ritenuta pressoché obbligata per il rafforzamento sul mercato interno caratterizzato in quegli anni da fusioni e acquisizioni dei concorrenti gruppi bancari. Tale circostanza, peraltro, non attenua la singolarità della procedura, tenuto conto dell’importanza economica dell’operazione e del prezzo fissato per perfezionarla: prezzo che si è rivelato, tra l’altro, di molto superiore al valore reale della Banca poi acquisita.
Tra il 2008 e l’estate del 2011, la Banca d’Italia conduce dieci ispezioni. In questo periodo emergono tre aspetti problematici: il primo nell’area crediti, (mutui di ammontare superiore al limite interno pari al 40 per cento del rapporto rata/reddito e numerose posizioni deteriorate). Il secondo nell’area finanza per operazioni strutturate su BTP a lungo termine di elevato ammontare (la banca deteneva circa 25 miliardi in titoli pubblici). Il terzo nella posizione di liquidità, i cui saldi sono assai volatili e, risentono di due repo strutturati su titoli di Stato effettuati, rispettivamente, con Deutsche Bank e Nomura per un valore nominale complessivo di circa 5 miliardi, con profili di rischio non adeguatamente controllati e valutati da MPS. Si tratta di componenti delle operazioni Santorini e Alexandria, che risulteranno in seguito connotate da significative irregolarità.
Dopo ripetuti richiami da parte di Banca d’Italia di procedere a un rafforzamento patrimoniale MPS nel luglio 2011 porta a termine un’operazione di rafforzamento patrimoniale di circa 3 miliardi.
Con la crisi del debito sovrano, si determina un nuovo, forte indebolimento della posizione di liquidità della banca, a seguito tra l’altro dell’ampliamento dei margini da corrispondere a garanzia delle due operazioni di repo Santorini e Alexandria.
Banca d’Italia avvia una ispezione di follow-up sulla situazione di liquidità di MPS (condotta dal settembre 2011 al marzo 2012) che evidenzia che le problematiche in precedenza rilevate non sono state superate. Sul finire del 2011, durante l’ispezione, Banca d’Italia presta a MPS titoli altamente liquidi che la banca utilizzerà per finanziarsi sul mercato.
In seguito alle forti pressioni della Vigilanza, e pur in assenza di un potere formale di removal, a fine 2011 MPS risolve il rapporto con il Direttore Generale, dr. Vigni, cui è corrisposto un compenso di circa 4 milioni; la corresponsione di tale compenso sfocerà in una procedura sanzionatoria nei confronti degli organi di amministrazione e controllo dell’epoca conclusasi con l’irrogazione di sanzioni per 1,3 milioni. A gennaio 2012 viene nominato A.D. Fabrizio Viola e nell’assemblea successiva Mussari non si ripresenta; il C.d.A. è ampiamente rinnovato, il Presidente è A. Profumo.
Negli anni successivi, ad opera della Vigilanza e soprattutto nel corso delle indagini nel frattempo intraprese dall’Autorità Giudiziaria (dopo avere constatato, in sede di indagini sulla società Enigma, la sussistenza di numerose transazioni compiute dalla stessa con MPS e dopo avere osservato le oscillazioni del titolo MPS) emergono una serie di omissioni di informativa alla Vigilanza relative alla già citata operazione FRESH, sottesa al finanziamento dell’acquisto Antonveneta.
In estrema sintesi, si trattava di omissioni finalizzate a dare, alle operazioni in questione, la “parvenza” di componenti positive del patrimonio di vigilanza, quando in realtà ne avrebbero dovuto costituire componenti negative:
- il capitale sottoscritto da JPMorgan non era computabile nel core capital perché gli accordi sottesi a tale sottoscrizione comportavano per MPS, vincoli assimilabili alla remunerazione di un debito;
- taluni contenuti degli accordi stipulati da MPS – nascosti alla Vigilanza – una volta scoperti, fecero emergere che le azioni sottostanti l’operazione FRESH non potessero essere computate nel core capital.
Nella semestrale dell’agosto 2008, MPS includeva invece queste componenti nel patrimonio di vigilanza così falsandone l’entità. Si consideri che, sulla base di quanto riferito da Banca d’Italia e da Consob, il patrimonio di vigilanza di MPS, al 30.06.2008, senza le azioni JP Morgan, si sarebbe posto al di sotto del requisito prudenziale dell’8 per cento.
Ne scaturiranno i procedimenti penali a carico dei soggetti facenti parte del management ritenuti responsabili delle omissioni e, nel 2013, sanzioni Consob per manipolazione informativa.
L’operazione Alexandria (compiuta con la banca Nomura) e l’operazione Santorini (compiuta con Deutsche Bank) vennero poste in essere da MPS tra la fine del 2008 e metà 2009, con modalità operative che la banca non ha mai rappresentato né al mercato, né nelle sedi ispettive; le stesse sono state ricostruite ex post attraverso una complessa istruttoria – incluse numerose rogatorie internazionali – svolta dall’Autorità Giudiziaria in collaborazione con la Vigilanza e l’IVASS.
Senza entrare nell’articolata e complessa strutturazione delle operazioni in questione, basti in questa sede rilevare che, sulla base della ricostruzione offerta dagli inquirenti, le stesse sono rimaste nascoste nei bilanci, e quindi al pubblico ed al mercato, fino all’ottobre-novembre del 2012 con la conseguente emersione di perdite sul bilancio al 31.12.2012 per circa 700 milioni di euro.
Le due operazioni saranno successivamente chiuse: l’operazione Santorini nel dicembre 2013, con la stipula di un accordo transattivo tra MPS e Deutsche Bank; l’operazione Alexandria nel settembre 2015 mediante la definizione di un accordo transattivo con Nomura. Per quest’ultima operazione, nel dicembre 2015 la Consob accerterà la non conformità del bilancio al 31 dicembre 2014 e della relazione finanziaria semestrale al 30 giugno 2015 e richiederà, secondo quanto previsto dal TUF, la pubblicazione di informazioni supplementari. L’accertamento sarà effettuato alla luce delle nuove informazioni emerse nel corso delle citate indagini svolte dalla Procura di Milano.
Peraltro con riferimento agli aumenti di capitale precedenti all’accertamento di non conformità del bilancio 2014 e della relazione semestrale al 30/06/2015 effettuata da Consob nel dicembre 2015, è bene sottolineare che la stessa ne aveva approvato i prospetti, sebbene “con riserva”.
In particolare Consob aveva rilevato:
“Nel bilancio della Banca sono riportate operazioni di term structured repo, contabilizzate secondo la cosiddetta metodologia a saldi aperti. La modalità di rappresentazione contabile di questo tipo di operazioni è all’attenzione degli organismi competenti in sede nazionale e internazionale. Non si può escludere che in futuro tali organismi forniscano informazioni diverse sul trattamento contabile, con possibili effetti negativi sulla situazione economica patrimoniale e/o finanziaria della Banca e/o del Gruppo” (prospetto 2014)
“Si precisa che la contabilizzazione delle operazioni long term structured repo, alla data del Prospetto, è oggetto di approfondimento da parte di Consob” (prospetto 2015).
L’accertamento di non conformità del bilancio 2014 e della relazione semestrale al 30/06/2015 effettuata da Consob nel dicembre 2015 deriva proprio da una diversa valutazione delle suddette operazioni, che anziché essere contabilizzate con la metodologia a saldi aperti, si sarebbero dovute contabilizzare a saldi chiusi.
L’audizione del Governatore Visco ha consentito di chiarire che se la Consob, prima di approvare i prospetti relativi ai succitati aumenti di capitale, avesse verificato l’esistenza dei titoli, avrebbe potuto constatare che essi non erano stati scambiati. Se così fosse avvenuto tali prospetti non sarebbero stati approvati, neppure con riserva, e ciò avrebbe ovviamente influito sul corso degli aumenti di capitale, sulle risorse messe a disposizione da parte dei risparmiatori e quindi sul loro destino.
Sulla base di quanto sinora esposto, l’attività di vigilanza della Consob su MPS ha riguardato tutte le più significative operazioni societarie e di finanza strutturata dal momento che, avendo impatto sugli aumenti di capitale e sui prospetti informativi oltreché sulla loro rappresentazione in bilancio.
Tuttavia la Commissione ha potuto constatare come gli interventi attuati dalla stessa Consob non abbiano portato all’individuazione tempestiva di quelle criticità che solo l’Autorità Giudiziaria ha poi accertato.
Lo dimostra il fatto che i procedimenti sanzionatori Consob si sono spesso attivati solo in esito ai risultati delle indagini giudiziarie (in molti casi anche a distanza di anni dai fatti).
L’elevatezza del portafoglio di titoli di Stato di MPS influisce anche sui risultati dello stress test di EBA effettuato nella seconda parte del 2011. Nel giugno 2012 MPS non è in grado di colmare la deficienza di capitale con iniziative private e ricorre ai Nuovi Strumenti Finanziari – NSF (cc.dd. “Monti bond”).
Nel dicembre 2012 la Commissione europea approva temporaneamente la ricapitalizzazione di MPS, subordinatamente alla presentazione di un piano di ristrutturazione entro sei mesi dalla data della decisione. MPS richiede di emettere Monti Bonds per un importo complessivo di 3,9 miliardi, di cui 1,9 miliardi per il rimborso dei Tremonti Bond già in essere che aveva emesso nel 2009 per 1,9 miliardi in base al D.L. n. 185 del 28.11.2008); ulteriori 171 milioni di NSF verranno emessi a fronte del pagamento degli interessi maturati per il 2012 sui Tremonti Bond.
La Commissione Europea approva la versione definitiva del Piano di ristrutturazione nel novembre 2013. MPS si impegna inoltre a convertire i NSF qualora l’aumento di capitale previsto nel piano non si realizzi. I NSF verranno successivamente integralmente rimborsati da MPS, con una tempistica accelerata rispetto a quella definita nel piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione Europea.
La situazione diviene nuovamente problematica nel 2014, in vista dell’avvio del Single Supervisory Mechanism (SSM). Infatti, viene condotto l’esercizio di valutazione approfondita (comprehensive assessment – CA) dei bilanci delle principali banche dell’area dell’euro, costituito da due parti: la revisione della qualità degli attivi (Asset Quality review, AQR) e lo Stress Test (ST). MPS, al netto delle azioni di rafforzamento patrimoniale intraprese nel corso del 2014, evidenzia una deficienza di capitale, riconducibile unicamente allo scenario avverso dello stress test, pari a 2,1 miliardi. La deficienza di capitale emersa nell’ambito del CA è colmata dalla banca con un aumento di capitale di 3 miliardi, autorizzato dalla BCE a maggio del 2015 e completato nel mese successivo. Parte di tale aumento di capitale è destinata alla restituzione della quota residua di NSF per 1,071 miliardi. La BCE, che intanto aveva assunto la vigilanza diretta sulla banca, richiede a MPS di rispettare, a partire dal 2015, un CET1 ratio del 10,2 per cento. Contemporaneamente, alla banca viene chiesto di: a) non distribuire dividendi; b) affrontare attivamente il problema dell’alta incidenza delle attività deteriorate, anche attraverso operazioni di aggregazione; c) rinforzare le strategie e i processi inerenti la distribuzione interna di capitale; d) attuare un’adeguata strategia di liquidità e funding. I crediti deteriorati passano dal 19,1 per cento del 2012 al 34,8 per cento del 2015 mentre per il sistema passano dal 13,5 per cento al 18,1 per cento.
Nel corso del 2016 viene condotto un nuovo esercizio di stress a livello europeo, coordinato dall’EBA e condotto dall’SSM. I risultati di questo esercizio, pubblicati alla fine di luglio 2016, evidenziano un impatto molto rilevante sulla posizione patrimoniale di MPS nello scenario avverso alla fine del 2018 (capitale di qualità primaria pari al -2,4 per cento delle attività ponderate per il rischio).
Alla luce dei risultati dello stress test, la BCE chiede a MPS l’adozione in tempi brevi di una soluzione credibile commisurata ai problemi della banca. MPS annuncia al mercato il “Progetto Charles” che prevede, tra l’altro, un rafforzamento patrimoniale di ammontare fino a 5 miliardi. Il progetto viene autorizzato dalla BCE nel successivo mese di novembre ma non si perfezionerà in quanto la banca non riesce a reperire sul mercato tutte le risorse necessarie al completamento dell’aumento di capitale.
Si apre la strada per la ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato.
5.2 Le quattro banche in risoluzione: Banca Marche, BPEL, Cariferrara e Carichieti
La crisi delle quattro banche poste in risoluzione nel novembre del 2015 si sviluppa anch’essa a partire dagli anni 2008-2009 e trae origine da cause comuni che emergono compiutamente a seguito dell’azione di vigilanza che si sviluppa dal 2008/2009 e che portano al loro commissariamento, che avviene per ciascuna di esse in tempi diversi tra il 2013 e il 2015. Nei quattro/cinque anni precedenti il commissariamento, Banca d’Italia conduce 18 ispezioni, equamente distribuite tra le quattro banche. Quanto a Consob, essa ha esercitato la vigilanza sulle operazioni di offerta al pubblico in occasione dell’approvazione dei prospetti informativi relativi all’emissione di azioni ed obbligazioni (fatta eccezione che per Carichieti, sulla quale non disponeva di poteri di intervento in quanto non emittente titoli quotati o diffusi).
Come già detto si tratta di banche di piccole e minori dimensioni, per le quali le manifestazioni della crisi sono per lo più riconducibili alle “classiche” crisi bancarie e hanno meno a vedere con le cause prime della crisi finanziaria internazionale.
La crisi, infatti, si sviluppa all’interno dell’area crediti ed è determinata da governance inadeguata, politiche di erogazione del credito scadenti, imprudenti e pertanto eccessivamente rischiose e da ultimo, ma non meno importante, da comportamenti irregolari da parte dei vertici aziendali non solo nell’area crediti. In conseguenza del fatto che le perdite su crediti comportano la necessità di effettuare aumenti di capitale emergono anche problematiche collegate alla vendita di obbligazioni subordinate alla clientela retail nonché di azioni sottoscritte da altre banche delle quali, a loro volta, le singole banche avevano sottoscritto gli aumenti di capitale da esse effettuati (cosiddetti “acquisti incrociati”). Più in dettaglio:
Banca d’Italia rileva, in occasione degli accertamenti ispettivi come anche in questi casi la governance sarebbe risultata fortemente inadeguata in tutte le sue articolazioni: la proprietà non avrebbe svolto il ruolo di selezione e vaglio dei vertici aziendali; il consiglio di amministrazione e il management non avrebbero realizzato la sana e prudente gestione; i meccanismi di controllo interno sarebbero stati molto carenti e pertanto non efficaci.
Come riscontrato in tutte le banche in crisi, le insufficienze della governance si sono tradotte in una scadente qualità del credito. I crediti deteriorati delle quattro banche hanno raggiunto, in tempi diversi, e a seguito di ripetute ispezioni da parte di Banca d’Italia, percentuali almeno doppie rispetto a quelle del sistema bancario, determinando tensioni di liquidità e pesanti perdite patrimoniali, all’origine del dissesto.
Infine, la Banca d’Italia ha sottolineato che le risposte delle quattro banche alle sue sollecitazioni e prescrizioni sono state insoddisfacenti.
Quanto a Consob, la sua attività ha riguardato numerose emissioni di titoli azionari e obbligazionari subordinati nel periodo antecedente all’accesso all’amministrazione straordinaria. In tutti i casi, nonostante Consob abbia precisato di avere proceduto all’approvazione dei vari prospetti anche in esito all’informativa ricevuta da Banca d’Italia nell’ambito della collaborazione ex lege, è altresì vero che solo successivamente alla documentazione ricevuta a seguito della risoluzione la Consob avvia una istruttoria che si conclude con l’irrogazione di ingenti sanzioni amministrative.
L’area crediti è il fulcro di queste crisi. Le cause sono da ricercare i) in una eccessiva crescita dei prestiti negli anni precedenti lo scoppio della crisi finanziaria internazionale spesso in aree al di fuori della propria area di tradizionale insediamento, senza svolgere istruttorie di fido approfondite; ii) eccessiva concentrazione dei rischi in alcuni settori, in primis l’immobiliare e nei confronti di alcuni grandi prenditori; iii) debordi dai limiti regolamentari interni e profili di anomalia nei confronti di alcuni prenditori, anche nel caso di erogazioni nei confronti di amministratori; iv) scarsa attenzione alle garanzie, mancato aggiornamento delle perizie sugli immobili. Tali politiche del credito “facili” vengono realizzate in alcuni casi anche da altre banche o intermediari finanziari del gruppo (Flashbank nel caso del gruppo Carichieti, la società di Leasing Commercio e Finanza nel caso di Cariferrara, Medioleasing nel caso di Banca Marche).
Per le motivazioni sopra esposte, le banche in questione sono state assoggettata all’Amministrazione Straordinaria: Carife viene commissariata nel maggio 2013, Banca Marche viene sottoposta dapprima a gestione provvisoria nell’ agosto 2013 e ad amministrazione straordinaria nell’ ottobre 2013; Carichieti è sottoposta ad amministrazione straordinaria nel settembre 2014 e da ultimo BPEL nel febbraio 2015.
Con riferimento alle Banche di cui sopra si deve evidenziare un deficit di scambio di comunicazioni e di informazioni tra gli Enti preposti alla Vigilanza.
In particolare con riferimento a Banca CARIFE i Pubblici Ministeri auditi hanno riferito che Consob aveva dichiarato di non aver avuto notizia da Banca d’Italia delle raccomandazioni che la stessa aveva indirizzato a CARIFE sull’aumento di capitale 2011. La Consob quindi avrebbe approvato sulla base di informazioni incomplete i prospetti relativi all’aumento di capitale 2011 che, anziché mettere in rilievo che l’aumento di capitale era frutto di un’indicazione di Banca d’Italia a fronte del deterioramento del credito e di altri problemi della banca, davano invece atto che la scelta mirava ad anticipare il rafforzamento patrimoniale in vista di Basilea3.
Anche in relazione a Banca Marche si è rilevato un deficit di comunicazione tra gli Enti preposti alla Vigilanza.
L’audizione del Governatore Visco, ha confermato che i prospetti approvati dall’autorità competente, in riferimento agli aumenti di capitale di CARIFE e di Banca Marche non contenevano gli alert necessari ed indispensabili.
Per quanto infine riguarda Carichieti i PM auditi dalla Commissione hanno riferito di indagini in corso con riferimento alla gestione dei commissari nominati da Banca d’Italia per la fase di Amministrazione Straordinaria, con particolare riferimento alla cessione dei crediti deteriorati, sulla cui valutazione lo stesso Tribunale di Chieti, in sede di dichiarazione di insolvenza, ha espresso delle censure, collegando ad essa se non l’insorgere dell’insolvenza, quanto meno il suo aggravamento.
5.3 Le due banche venete: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca
Le problematiche relative alle due banche, presenti già da tempo in entrambi gli istituti, emergono nella loro gravità più tardi rispetto ai casi precedenti, e cioè nel 2014-15 anche per gli effetti della seconda lunga recessione che è stata particolarmente pesante in Veneto. Le cause e le manifestazioni della crisi di queste due banche inoltre possono considerarsi “gemelle”.
Ancora una volta le maggiori criticità riguardano: i) forti carenze della governance, dovute ad un modello basato sull’autoreferenzialità dei vertici aziendali; ii) modalità di erogazione del credito deboli cui si aggiungono, come fattori specifici di crisi di queste due banche, iii) problematiche relative alla valutazione del prezzo delle azioni. Si tratta di due banche popolari non quotate ad azionariato diffuso, di dimensioni rilevanti, tanto da essere passate alla fine del 2014 sotto la vigilanza di BCE. E da ultimo, iv) l’emersione di pratiche scorrette di ricapitalizzazione nonché di gestione del Fondo Azioni Proprie, attuate attraverso le cosiddette operazioni “baciate”.
Nel periodo 2007-2011 entrambe le banche crescono molto più del sistema, attuando una politica tipica di molte banche del territorio. A tal fine ampliano la base sociale, incrementando il capitale mediante emissione di azioni destinate anche a nuovi soci.
Le ispezioni compiute in questo periodo rilevano per entrambe le banche alcune carenze e anomalie in tutte le fasi del processo creditizio che tuttavia non sembrano avere conseguenze particolarmente negative sulla qualità del portafoglio crediti.
VB in questi primi anni attua una sostenuta politica di acquisizione di altre banche a carattere locale, tra cui Banca Popolare di Intra, Banca Italiana di Sviluppo, Banca Apulia, Cassa di Risparmio di Fabriano. Nel 2010 inoltre furono rilevati da Banca d’Italia elementi indicativi della possibile sussistenza di un controllo non autorizzato di VB su BIM nella forma dell’influenza dominante, cui, a esito di approfondimenti fece seguito una formale istanza da parte di VB per l’acquisizione del controllo di BIM.
Le criticità nel portafoglio prestiti si materializzano gradualmente a seguito della crisi del debito sovrano e della conseguente nuova recessione. A partire dal 2013 anche BPV e VB, come il resto del sistema bancario, avviano una riduzione delle erogazioni creditizie che prosegue in maniera più marcata negli anni successivi.
In questi anni le ispezioni si focalizzano sulla verifica della qualità del portafoglio crediti delle due banche mediante accertamenti mirati che si svolsero per BPVI da maggio a ottobre 2012 e per Veneto Banca da gennaio ad agosto 2013. Entrambe le aziende saranno nuovamente sottoposte ad accertamenti ispettivi nel primo semestre 2014 nell’ambito del Comprehensive Assessment.
L’esercizio di stress test che si svolge da gennaio a ottobre 2014 fa emergere per entrambe le banche uno shortfall patrimoniale (682 mln per BPV e 714 mln per VB). Tra la data di riferimento dell’esercizio (31 dicembre 2013) e la pubblicazione dei risultati tutte e due le banche effettuano misure di rafforzamento di capitale che sanavano lo shortfall. Tuttavia, verrà poi tardivamente accertato dalla vigilanza, tali aumenti erano solo in parte computabili nel patrimonio per effetto della rilevanza di “operazioni baciate” che avrebbero dovuto essere portate a detrazione del patrimonio e che non erano state dedotte.
In questa fase prese definitivamente avvio la spirale negativa che porta rapidamente al dissesto. A partire dal 2014 e soprattutto dal 2015 il fattore che più di ogni altro ha determinato l’abbattimento del patrimonio dei due intermediari è stato il deterioramento della qualità del credito; i crediti deteriorati sono derivati in gran parte dagli effetti della crisi economica sulle imprese affidate e dalla volontà della banca di sostenere il territorio. Il credito esplicitamente in conflitto d’interessi, fenomeno di per sé grave e preoccupante, rappresenta una quota percentuale non elevata del totale.
Come detto nella crisi di BPVI e di VB sono determinanti due aspetti specifici: la determinazione del prezzo delle azioni e le “operazioni baciate”.
Sin dalle prime ispezioni emergono per entrambe le banche le prime criticità sul meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni, basato su un processo non codificato, svincolato da collegamenti con le performance reddituali e privo del parere di esperti indipendenti.
In riferimento a BPV, nel 2011 la Banca, al fine di conformarsi alle prescrizioni di Banca d’Italia irrogatele in esito ad una ispezione compiuta nel 2009, adottò le linee guida che prevedevano i parametri in funzione dei quali gli organi societari avrebbero dovuto informarsi per le decisioni concernenti il prezzo dei titoli e disponevano di riservare ad un esperto esterno un parere in merito. Il prezzo delle azioni è rimasto costante nel corso degli anni successivi (euro 62,5/azione) e nell’ambito delle rilevazioni eseguite da BCE nel 2015, verrà constatata non solo una applicazione solo parziale delle linee guida adottate, ma anche e soprattutto la permanenza di un disallineamento tra il rendimento implicito dell’azione BPV e la redditività ordinaria della Banca, che aveva accresciuto in misura rilevante l’esposizione di quest’ultima a rischi operativi e reputazionali, inerenti, tra l’altro, i reclami degli azionisti aventi ad oggetto la sovrastima del prezzo dell’azione.
Si consideri, tra l’altro, che gli Aumenti di Capitale (“AUCAP”) compiuti dalla Banca nel 2013, nel 2014, indotti da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza, erano stati effettuati in base al medesimo meccanismo di determinazione del valore/prezzo delle azioni.
Con particolare riferimento all’AUCAP 2013 ed all’approvazione del relativo prospetto informativo da parte di Consob, è emerso che quest’ultima non aveva ricevuto notizia da Banca d’Italia delle debolezze patrimoniali della Banca, di talché aveva ritenuto che l’informativa fornita ai risparmiatori fosse esaustiva.
Anche per quanto riguarda VB, Banca d’Italia effettua a suo carico alcuni rilievi in ordine al meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni nel 2009, invitandola ad adottare apposita normativa interna e ad affidarsi al parere di un esperto esterno, invito a cui VB si conforma nel 2010.
Il prezzo dell’azione di VB, assunse, valore crescente negli anni successivi, risultando “incoerente” con la effettiva redditività aziendale ed anche nel contesto economico complessivo, sia in rapporto ai valori riferiti alle banche operanti nel mercato regolamentato (in quanto molto più elevato) che ai valori riferiti a quelle operanti in mercati non regolamentati (in quanto superiore alla media).
Anche in questo caso, la determinazione del prezzo delle azioni ha influenzato gli AUCAP compiuti dalla Banca negli anni 2013, 2014 sollecitati da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza ma risultati, in esito ad accertamenti successivi, connotati da diverse criticità.
Con particolare riguardo all’AUCAP 2013, nel corso delle audizioni dei rappresentanti di Banca d’Italia e Consob, è emerso che lo scambio di informazioni intercorso tra le due Autorità non ha, sulla base di quanto appurato ex post, consentito l’esaustiva individuazione dei rischi connessi alla situazione della Banca che ha influenzato i provvedimenti approvativi del prospetto informativo.
In conclusione nonostante la Banca d’Italia sia intervenuta più volte sulla determinazione del prezzo delle azioni per ottenere che i due intermediari si dotassero di processi adeguati e di criteri obiettivi di fissazione del prezzo, quest’ultimo è rimasto sovrastimato fino a tutto il 2016.
Da ultimo, con riferimento al fenomeno delle operazioni “baciate”, ricordiamo che esse non sono vietate per legge dal 2008, a patto che i relativi finanziamenti siano autorizzati dall’Assemblea straordinaria, nel rispetto delle condizioni previste dal codice civile (art. 2358) e che le azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza.
Tale fenomeno, che consiste nella vendita di azioni a soggetti ai quali la banca venditrice fornisce la relativa provvista nell’ambito di operazioni di finanziamento, è largamente concentrato nel periodo 2012–2014, quando entrambe le banche, a causa della prospettiva di coefficienti patrimoniali più elevati e a causa dell’emergere dei NPL, dovevano effettuare aumenti di capitale.
La Banca d’Italia ha rilevato la fattispecie a metà del 2013 su VB e ad inizio 2015 su BPV, seppure vi fossero operazioni baciate per ingenti importi già negli anni precedenti.
Nella corsa al reperimento di adesioni alle operazioni di rafforzamento di capitale – operate anche attraverso i finanziamenti baciati – le due banche hanno, in vari casi, applicato pratiche scorrette nell’ambito delle politiche commerciali finalizzate alla vendita dei propri prodotti (carenza di informativa al cliente, inidonea valutazione del merito creditizio, carenti procedure interne). Le operazioni baciate, a seguito di plurimi accertamenti compiuti (anche da BCE) hanno costituito un fenomeno significativo; si consideri infatti che l’importo delle stesse, calcolato su BPV è risultato di euro 1,1 miliardi mentre quello calcolato su VB di euro 356 milioni.
Si consideri infine che gli aumenti di capitale – in particolare quelli compiuti nel 2014, per superare i previsti esiti di shortfall patrimoniali in sede di Comprehensive Assessment con riferimento al Bilancio al 31.12.2013 – poterono essere computati nel patrimonio di vigilanza solo parzialmente (essendo derivati in gran parte da acquisti di azioni finanziate dalla banca). Per accertamenti successivamente svolti, essi risultarono non sufficienti all’obiettivo di raggiungimento dei parametri minimi previsti. Da qui la “discesa” delle due banche verso lo stato di dissesto ed all’accesso, nel 2017, alla liquidazione coatta amministrativa.
Inoltre, nel corso del 2015 la posizione di liquidità delle due banche inizia a deteriorarsi. Da settembre a dicembre 2015, la raccolta di BPV subisce una diminuzione di circa 2,5 mld (-14 per cento), quella di VB di circa 4 mld (-20 per cento).
Ciascuno degli organi amministrativi delle banche – rinnovati autonomamente dalle assemblee dopo le ispezioni della Vigilanza (salvo l’amministratore delegato di BPV, sostituito già nel corso dell’accertamento), approva un piano di rilancio che per entrambe le banche avrebbe dovuto portare, a seguito della riforma delle Banche popolari, alla trasformazione in S.p.A. (poi effettivamente realizzata), a un aumento di capitale (1 mld per VB e 1,5 mld per BPV) e alla quotazione in borsa. Nel processo di trasformazione in S.p.A. il prezzo delle azioni venne portato da 48 a 6,3 euro per BPV e da 30,5 a 7,3 euro per VB. In entrambi i casi l’offerta delle azioni sul mercato a un prezzo di 0,10 per azione fallì.
Nella primavera del 2016 viene costituito il fondo Atlante, in base a un’iniziativa di matrice prevalentemente interbancaria privata, con la presenza di Cassa Depositi e Prestiti, di alcune fondazioni bancarie e assicurazioni, che diviene il principale azionista di BPVI con più del 99 per cento del capitale e successivamente, a giugno, diviene il principale azionista di VB con il 97,64 per cento.
L’incertezza legata alle possibilità di successo delle iniziative di risanamento delle due banche compromette irrimediabilmente la fiducia della clientela; nel primo semestre del 2017, la continua esposizione mediatica determina ulteriori deflussi di provvista (2,5 miliardi per BPV e 3,9 miliardi per VB).
Si innesca, come detto, una spirale inarrestabile e le due banche vengono dichiarate a rischio di dissesto.
Consob è intervenuta dal 2008 al 2013 dirigendo la propria attenzione sulle modalità di attuazione della disciplina MIFID irrogando una sanzione nei confronti di VB nel 2013 e nei confronti di BPV nel 2015.
Nel periodo successivo, 2015-2016 è intervenuta ripetutamente sui contenuti dei prospetti informativi relativi a diverse operazioni, richiedendo l’inserimento in essi di informazioni supplementari.
Risulta avere utilizzato poteri che vanno oltre la disamina dei prospetti avviando due ispezioni su VB: la prima, sulle condotte adottate dall’intermediario nella distribuzione alla clientela retail, la seconda sul processo di definizione del valore delle azioni proprie. Nel corso delle verifiche ispettive sono emerse delle irregolarità tali da portare all’utilizzo dei poteri di accesso previsti dal TUF.
Complessivamente, nei confronti delle due banche venete, Consob ha irrogato sanzioni per circa 9 milioni di euro.
- L’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari poste in essere dagli organi preposti, in relazione alla tutela del risparmio, alla modalità di applicazione delle regole e degli strumenti di controllo vigenti, con particolare riguardo alle modalità di applicazione e all’idoneità degli interventi, dei poteri sanzionatori e degli strumenti di controllo disposti, nonché all’adeguatezza delle modalità di presidio dai rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati (art.3, lett. c)
La disciplina vigente precisa gli obiettivi della vigilanza e prevede un obbligo di collaborazione tra le varie autorità e di comunicazione delle notizie acquisite. Si veda ad esempio (in riferimento alla disciplina degli intermediari finanziari, regolati dal T.U.F.) l’art. 5 del T.U.F. che, in generale, al comma 1), indica quali obiettivi della vigilanza:
- a) La salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario
- b) La tutela degli investitori
- c) La stabilità ed il buon funzionamento del sistema finanziario
- d) La competitività del sistema finanziario
- e) L’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.
e che, nello specifico, al comma 2), precisa che la Banca d’Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la correttezza dei comportamenti, mentre al comma 3) individua in CONSOB l’autorità competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.
La dualità di obiettivi, che vengono ad essere perseguiti da due distinte autorità di vigilanza, trova una sintesi ed un punto di equilibrio nell’obbligo di collaborazione reciproca.
Al comma V dell’art. 5 citato, si precisa che Banca d’Italia e Consob operano in modo coordinato e si danno reciproca comunicazione dei provvedimenti assunti e delle irregolarità rilevate nell’esercizio dell’attività di vigilanza. Il comma 5 bis prevede tra Banca d’Italia e Consob la stipula di un Protocollo d’intesa, avente ad oggetto i compiti di ciascuna, le modalità del loro svolgimento, lo scambio di informazioni, anche in riferimento alle irregolarità rilevate.
Più in generale l’obbligo di informazione tra autorità di vigilanza è previsto anche dall’art. 7 del T.U.B. che, dopo aver sancito il segreto d’ufficio su tutte le notizie, informazioni e dati acquisiti dalla Banca d’Italia, in ragione della sua attività di vigilanza, precisa, al comma V, che Banca d’Italia, Consob, Covip e Ivass debbano tra loro collaborare, anche mediante scambio di informazioni e non possano reciprocamente opporsi il segreto d’ufficio. Dello stesso segno l’art. 54 comma V del T.U.B. in riferimento alla vigilanza ispettiva della Banca d’Italia e delle conseguenti comunicazioni a Consob. Simmetrica è poi la previsione dell’art. 4 del T.U.F.
L’art. 7 bis del T.U.F., come sostituito dal D. Lvo attuativo della Direttiva MIFID II (entrata in vigore il 3 gennaio 2018 in forza del D.lgs. 129/2017, ribadisce come la Consob sia competente per quanto riguarda la protezione degli investitori, l’ordinato funzionamento ed integrità dei mercati finanziari o delle merci, mentre la Banca d’Italia sia competente per quanto riguarda la stabilità dell’insieme o di una parte del sistema finanziario. Anche questa norma prevede che Banca d’Italia e Consob stabiliscano, sulla base di un apposito protocollo d’intesa, le modalità della cooperazione e del reciproco scambio di informazioni rilevanti.
Per completare il quadro normativo deve ricordarsi che dalla fine del 2014 le banche c.d. “significative” escono dall’ambito della vigilanza nazionale per entrare in quello affidato al Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism, SSM), in vigore dal 4.11.2014.
Pertanto, per i gruppi bancari italiani significativi (allo stato 11) compete al SSM la vigilanza diretta e la selezione delle eventuali informazioni da trasmettere all’Autorità Nazionale sui mercati.
Tornando all’ambito nazionale, si rileva come il sistema assicuri alle Autorità di vigilanza un ampio margine operativo, competendo alle stesse di mediare tra le finalità da perseguire. In quest’ottica, le sorti dell’efficacia preventiva (ex ante) e riparativa (ex post) delle criticità vengono, in definitiva, riposte nelle mani degli organi di vigilanza sia in termini di tempestività di intervento che di idoneità delle modalità e dei tempi prescelti.
Il punto è che nello scenario che ha caratterizzato l’ultimo decennio, l’esercizio dell’attività di vigilanza non si è dimostrato del tutto efficace.
Nelle vicende che hanno specificamente coinvolto gli istituti oggetto di indagine la Commissione è giunta a ritenere che in tutti i sette casi le attività di vigilanza sia sul sistema bancario (Banca d’ Italia) che sui mercati finanziari (Consob) si siano rivelate inefficaci ai fini della tutela del risparmio; che le modalità di applicazione delle regole e degli strumenti di controllo si siano rivelate perfettibili; che i poteri sanzionatori siano stati impotenti in caso di manifestazioni dolose che hanno spesso investito gran parte della direzione apicale degli emittenti; che le modalità di presidio dai rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati si siano dimostrate inadeguate.
Un primo aspetto emerso nel corso delle diverse audizioni, riguarda il fatto che Banca d’Italia ha lamentato limiti “investigativi” degli strumenti a propria disposizione, all’epoca dei fatti, in sede di ispezione. Così, in relazione all’accertamento di alcune irregolarità, la Banca d’Italia segnala di non aver potuto fare altro che prendere atto delle dichiarazioni della banca, oggetto d’ispezione, non avendo ulteriori poteri che la mettessero nelle condizioni di verificare la correttezza dell’informazione fornitale dalla banca vigilata.
Si citano sul punto le dichiarazioni di Barbagallo in sede di audizione del 22.11.2017:” …. c’è invece un tema endogeno sulle ispezioni e sull’adeguatezza degli strumenti. Di fronte alle irregolarità osservate al Monte dei Paschi o in altre realtà, secondo me non basta affidarsi alla perizia e alla capacità dei colleghi di capire i problemi anche per via indiziaria; bisognerebbe probabilmente andare oltre – è una mia personale opinione – e dotare gli ispettori di altri poteri, magari sotto il controllo della Guardia di finanza. La Consob, per esempio, ha questi poteri in alcuni casi. Esercitare in via eccezionale un potere maggiore credo sia d’ausilio in situazioni in cui si ha obiettivamente un dubbio… ”
Peraltro la Consob, dotata di questi maggiori poteri, non pare averli utilizzati adeguatamente (avendoli attivati in due sole occasioni) né aver, di fatto, conseguito risultati significativi.
In effetti, sulla base di quanto emerso dai lavori della Commissione, gli interventi attuati dalla Consob non hanno portato all’individuazione tempestiva di quelle criticità che solo l’Autorità Giudiziaria ha poi accertato, quando ormai i fatti contestati si erano da tempo consumati.
La disamina e l’approfondimento di alcuni eventi che hanno contraddistinto l’azione della vigilanza – nella specie di Banca d’Italia e Consob – ha fatto emergere, nell’ambito dell’inchiesta, oggettive debolezze nella collaborazione e nello scambio reciproco di informazioni rilevanti tra i due organismi.
Per le finalità dell’inchiesta della Commissione, ha assunto particolare rilievo la circostanza che nell’ambito della collaborazione tra Autorità, prevista ai sensi del citato art. 5 comma 5bis TUF, non sono state trasmesse da Banca d’Italia o adeguatamente recepite da Consob notizie rilevanti che avrebbero potuto incidere sulla verifica dei prospetti ai fini della loro preventiva approvazione.
Così in riferimento agli aumenti di capitale ed alla vendita di strumenti finanziari svolti in seno alle quattro banche oggi in risoluzione, nel mentre sono state contestate dall’A.G. violazioni degli obblighi di trasparenza a carico degli emittenti, è altresì emerso che i dati omessi nei prospetti afferivano spesso al contenuto di raccomandazioni della Banca d’Italia. Consob ha sostenuto, anche davanti all’A.G., di avere approvato tali prospetti informativi (e le operazioni cui essi si riferivano hanno avuto corso con l’adesione/sottoscrizione dei risparmiatori) senza essere a conoscenza dell’esistenza delle criticità segnalate da Banca d’Italia al vigilato, pur mettendo in rilievo che tale deficit informativo fosse addebitabile alla banca. Se così è stato, il mancato funzionamento della collaborazione tra le due autorità appare evidente. Altrimenti le doglianze che ciascuna delle due Autorità ha espresso in riferimento alle informazioni scambiate hanno costituito facile “alibi”.
La tematica dell’interlocuzione tra le due Autorità ha avuto rilievo anche in altre circostanze accertate in sede di inchiesta. Nella specie, si sono registrate incongruenze tra l’interpretazione, il significato e la valenza che ciascuna delle due Autorità di Vigilanza riteneva attribuibile al contenuto di una comunicazione relativa ad un resoconto ispettivo trasmesso da Banca d’Italia a Consob in ordine al prezzo delle azioni della banche venete, il cui importo Banca d’Italia ritenne di segnalare, come “elevato”, senza tuttavia specificare di aver riscontrato alcune importanti anomalie nelle procedure interne per la sua determinazione.
Il Governatore della Banca d’Italia, sentito sull’argomento si è limitato a dichiarare che le lacune riscontrate nell’interlocuzione tra Autorità siano dipese da mere “differenze redazionali, funzionali a mettere in evidenza i differenti aspetti di interesse”.
In generale si è visto come le banche abbiano dovuto ricorrere a politiche di rafforzamento patrimoniale e Banca d’Italia in molti casi abbia sollecitato l’adozione di tali iniziative, soprattutto nei confronti delle banche più “deboli”.
Non hanno fatto eccezione a tali sollecitazioni le Banche destinatarie della presente inchiesta, per le quali, la presenza di molteplici criticità (nei processi creditizi, nella governance ecc.) e l’impennata dell’incidenza dei NPL, hanno reso le misure di ri-patrimonializzazione adottate non sufficienti, ad evitare il dissesto. Ed allora occorre domandarsi – al netto degli episodi dolosi di occultamento di documenti e di mala gestio, che in talune situazioni hanno contraddistinto l’operato delle Banche in esame – se gli strumenti a disposizione della Vigilanza siano stati utilizzati tutti ed in caso positivo, si siano dimostrati sufficienti.
Lo stesso Governatore, chiamato ad esprimere una sua valutazione sull’operato di Banca d’Italia, non ha escluso possibili carenze: “È indubbio che è il gap, il famoso gap, i tre anni, un anno, eccetera, è un problema che io mi sono posto. Cioè, potevamo noi nel 2013 essere un pochino più svegli? Forse. Se devo dire, due rimpianti: uno è la questione delle sofferenze, cioè di non aver spinto con forza le banche a cercare di dotarsi di una capacità di recupero e di ordine, sostanzialmente avere tutti i documenti giusti per le sofferenze che avevano; e l’altro è, effettivamente, Vicenza, perché noi, nelle discussioni del Direttorio, nelle valutazioni sulla base delle carte eccetera, l’abbiamo sempre considerata, fino ad allora, una banca non straordinaria, non la migliore delle popolari, sicuramente c’erano varie altre popolari migliori di Vicenza, ma in quell’ambito lì sicuramente una banca in grado di fare acquisizioni di banche più piccole con attenzione. Che succede? Succede che ci sono, nel 2014, questi problemi.”
In punto di vigilanza sulla governance, Banca d’Italia, tra le carenze lamentate circa i propri poteri, aveva indicato anche l’assenza del c.d. potere di removal (ossia il potere di rimuovere dagli organi sociali gli esponenti della banca) che è entrato in vigore a decorrere dal 2015. Sino ad allora Banca d’Italia era potuta
intervenire sulla composizione degli organi delle banche tramite la c.d. moral suasion, anche se non sempre con successo.
Per quanto concerne il tema generale dell’efficacia dell’attività di vigilanza è stato rilevato, come le Banche abbiano in molti casi ottemperato talvolta solo in modo parziale – e con gravi ritardi – alle prescrizioni impartite da Banca d’Italia.
A fronte della mancata adozione delle misure correttive impartite da Banca d’Italia, quest’ultima si è limitata a reiterare la prescrizione e/o sollecitare la banca a conformarsi.
Anche l’applicazione finale di una sanzione, a fronte di una perdurante omissione protrattasi per anni, non sembra aver costituito un rimedio – da solo – adeguato e sufficiente.
Se, dunque l’attività della Vigilanza è risultata lenta, bisogna interrogarsi su come rendere più efficacemente coercitive le indicazioni che la vigilanza indirizzi alle banche, al fine di evitare – laddove possibile – il permanere di situazioni di criticità che rischiano di minare la sana e prudente gestione ed il buon funzionamento della banca.
Le soluzioni adottate a partire dalla fine del 2015 per la soluzione delle sette crisi bancarie si muovono tutte nell’ambito della filosofia che ispira la Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) entrata in vigore in Italia il primo gennaio del 2016. Esse pertanto si svolgono in un contesto normativo europeo nuovo al cui interno operano da un lato le nuove autorità di Vigilanza e di Risoluzione e dall’altro la Commissione Europea che a seguito della crisi finanziaria internazionale è intervenuta con regolamentazioni ad hoc sugli aiuti di Stato al settore bancario.
La BRRD aveva l’obiettivo di introdurre in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi bancarie. A tal fine è stato istituito quale componente essenziale dell’Unione Bancaria, a complemento del SSM, l’Autorità di Risoluzione, o Single Resolution Mechanism (SRM), responsabile della gestione accentrata delle crisi bancarie nell’area dell’euro. L’SRM è un sistema articolato che si compone delle autorità di risoluzione nazionali e di un’autorità accentrata, il Comitato Unico di Risoluzione (Single Resolution Board, SRB), cui partecipano rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali e alcuni membri permanenti. Per le banche “significant” è il SRB ad individuare le modalità con cui la crisi può essere affrontata e a decidere, quando la crisi si manifesta, come gestirla in concreto adottando un programma di risoluzione. Spetta invece all’autorità di risoluzione nazionale, nel caso di crisi italiane Banca d’Italia, dare attuazione al programma, esercitando i poteri che la normativa europea e le norme nazionali di recepimento le attribuiscono. Il programma deve inoltre essere sottoposto alla Commissione Europea. Nei casi di banche “less significant”, le autorità di risoluzione nazionali conservano la responsabilità di pianificare e gestire le crisi. La loro azione si svolge comunque secondo linee guida e orientamenti definiti dal SRM.
Come è noto, la BRRD ha introdotto il Bail-in, uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato. Gli azionisti e i creditori non possono in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie. Più in dettaglio sono completamente esclusi dall’ambito di applicazione e non possono quindi essere né svalutati né convertiti in capitale:
- i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, cioè quelli di importo fino a 100.000 euro;
- le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;
- le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;
- le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
- le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;
- i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Sfruttando un’opzione prevista dalla BRRD il legislatore italiano ha prorogato di un anno al primo gennaio 2016 l’entrata in vigore delle disposizioni della direttiva relative al bail-in. Ciò ha permesso di applicare alle quattro banche poste in risoluzione nel novembre del 2015 solo il Burden Sharing (BS), coinvolgendo nell’assorbimento delle perdite, gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinate. Il BS, a sua volta, era stato introdotto dalla Commissione Europea nell’ambito della normativa sugli aiuti di stato che con la Comunicazione dell’agosto 2013 diviene molto più restrittiva che in precedenza. Secondo la Comunicazione infatti gli aiuti al settore bancario potevano essere concessi soltanto a condizioni tali da comportare un’adeguata condivisione degli oneri da parte degli investitori esistenti e cioè solo dopo che le perdite fossero state assorbite da detentori di strumenti equity e, successivamente, dai titolari di strumenti di capitale ibridi e subordinati.
Chiarito il nuovo contesto normativo, ripercorriamo di seguito in estrema sintesi le tre diverse soluzioni adottate nel caso delle sette banche in crisi, seguendo, al riguardo, un ordine cronologico.
7.1 La risoluzione delle quattro banche commissariate
Il primo caso di “parziale” applicazione delle nuove regole europee di gestione delle crisi bancarie è stato quello delle quattro banche commissariate, che alla fine del 2015 sono state poste in risoluzione.
Il contesto in cui si verificano le difficoltà di queste banche è molto diverso dal passato a causa della recessione economica e della debolezza del sistema economico già descritte, pertanto, in relazione alle stesse, non è stato possibile evitare la risoluzione attraverso la loro acquisizione da parte di altre banche più solide (pur avendo cercato, i commissari, soluzioni di questo tipo nel corso dell’amministrazione straordinaria).
Da ultimo, è stata anche tentata la soluzione a carico del sistema bancario attraverso l’utilizzo del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Questa via è stata preclusa dalla Commissione europea (CE), che ha assimilato l’intervento del Fondo interbancario obbligatorio a un aiuto di Stato. Tale assimilazione – derivante da un’interpretazione di una Comunicazione della stessa Commissione europea dell’agosto 2013 – non è stata condivisa dallo Stato italiano, che l’ha impugnata e per la quale si è a tutt’oggi in attesa di una decisione della Giustizia Europea.
E’ emerso in sede di audizioni che non si potesse tuttavia disattendere l‘indicazione della Commissione perché qualora si fosse proseguito con l’intervento del Fondo interbancario obbligatorio, le banche beneficiarie sarebbero state costrette a sterilizzare contabilmente l’aiuto, apparendo comunque assolutamente improbabile che la BCE, cui spetta autorizzare le acquisizioni, assumesse una decisione in contrasto con gli orientamenti della Commissione. E’ emerso anche, in quella stessa fase come non si fosse riusciti ad esperire un intervento del sistema bancario su basi volontarie in quel momento inedito.
Il rapido e drammatico deteriorarsi della situazione patrimoniale e della liquidità delle quattro banche ha quindi imposto di procedere senza indugio alla loro risoluzione, applicando con apposito decreto gli istituti previsti dalla Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi (cosiddetta BRRD), in forma light, ovvero con il solo BS.
Nel novembre del 2015, il governo emanò il decreto 22.11.2015 n. 183 . che poneva in risoluzione le quattro banche.
Ciascuna banca veniva scissa in due: una good bank o banca ponte e una bad bank. Allo quattro good banks afferivano i prestiti diversi dalle sofferenze e i debiti verso i depositanti e gli obbligazionisti ordinari. Alla bad bank (chiamata REV), unica per le quattro banche, afferivano solo le sofferenze.
Un aspetto critico e ampiamente trattato in diverse audizioni è stato il prezzo al quale le sofferenze vennero valutate: inizialmente al 17,6 per cento del loro valore nominale (La Commissione proponeva 13,5 per cento). Successivamente, a seguito di valutazioni di esperti indipendenti, il prezzo finale fu di 22,5 per cento. Le conseguenti perdite vennero poste a carico dai detentori delle azioni e delle obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche: il valore di questi strumenti venne azzerato. Le perdite residue sono state addossate al Fondo di risoluzione, che si è anche fatto carico di ricapitalizzare le banche ponte e la bad bank per 1,8 miliardi, con un contributo complessivo iniziale di 3,6 miliardi.
Complessivamente, lo ricordano gli organi delle procedure di risoluzione in sede di audizione, vennero trasferiti crediti in sofferenza per 9,4 miliardi mentre rimasero in capo alle good banks crediti problematici (incagli e past due) per complessivi 4,5 miliardi.
Anche la ricerca di un acquirente per le quattro banche ponte, apparentemente sane si è rivelata più difficile del previsto. Nel maggio 2017 è stata perfezionata la vendita di Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova Cari-Chieti a UBI, al prezzo simbolico di un euro e ciò ha comportato ulteriori oneri tra cui una ulteriore ricapitalizzazione a carico del Fondo di Risoluzione nazionale per 713 milioni e una cessione di ulteriori sofferenze per 2,2 miliardi a REV oltre a garanzie per rischi legali e fiscali. Lo stesso schema è stato seguito per la contemporanea cessione di Nuova CariFerrara a Banca Popolare dell’Emilia Romagna (BPER). In questo caso il contributo patrimoniale a carico del Fondo di Risoluzione nazionale è stato di 340 milioni, la cessione di nuove sofferenze di 290 milioni a REV e, solo in questo caso, prima della cessione sono stati definiti 340 esuberi.
La risoluzione delle quattro banche non ha comportato inizialmente alcun esborso per lo Stato italiano.
Il governo è poi intervenuto con un provvedimento di “ristoro” con la legge di stabilità per il 2016 che ha istituito il Fondo di solidarietà, alimentato e amministrato dal Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (FITD). In tal modo il ristoro è stato posto a carico del sistema bancario. Gli investitori retail hanno potuto scegliere tra due alternative: i) un rimborso forfettario pari all’80 per cento della somma investita, a condizione che il che il loro reddito fosse inferiore ai 35.000 euro e il loro patrimonio mobiliare fosse inferiore ai 100.000 euro; ii) una procedura arbitrale, gestita dalla Autorità Nazionale Anti-corruzione che stabilisce caso per caso l’ammontare dell’eventuale rimborso.
Come ricordato dal Presidente del FITD, sono stati circa 7.000 i risparmiatori che hanno chiesto il rimborso al FITD e sinora sono stati erogati 110 milioni ma si arriverà a circa 200 milioni. I risparmiatori titolari di strumenti finanziari che hanno fatto richiesta al Collegio arbitrale dell’Anac sono 1695 per un ammontare pari a 79,4 milioni di euro, ma le richieste non sono state sinora esaminate.
7.2 La ricapitalizzazione precauzionale di MPS
Anche nel caso di MPS sono state ricercate a lungo soluzioni di mercato attraverso operazioni di aggregazione/acquisizione da parte di altre banche che, come è noto, non si sono concretizzate, per i motivi di contesto già ricordati a proposito delle quattro piccole banche che diventano ancor più stringenti a causa delle dimensioni della banca in difficoltà.
Come si è detto, alla luce dei risultati dello stress test, la BCE ha imposto a MPS, tra l’altro, un rafforzamento patrimoniale per un ammontare fino a 5 miliardi. Nonostante gli obbligazionisti avessero optato per convertire volontariamente i loro titoli subordinati in azioni, per circa un miliardo, gli investitori privati non aderirono all’aumento.
Il 23 dicembre 2016 il Governo adotta il D.L. n. 237/2016, avente a oggetto misure atte a ripristinare la fiducia dei mercati nel sistema bancario, tra cui la possibilità per lo Stato di concedere garanzie su passività bancarie di nuova emissione (o a integrazione di attività ai fini Emergency Liquidity Assistance – ELA – da parte della banca centrale) e di partecipare al capitale delle banche nell’ambito di quanto previsto dalla direttiva comunitaria c.d. BRRD e nel rispetto del regime degli aiuti di stato definito dalla Commissione Europea nel 2013.
Lo stesso giorno MPS chiede di accedere alle forme straordinarie di supporto alla liquidità per un ammontare complessivo fino a 15 miliardi e annuncia l’intenzione di richiedere l’intervento di rafforzamento patrimoniale previsto dal D.L. 237.
Più in dettaglio, il decreto disponeva la possibilità di avvalersi della deroga prevista all’art.32 della BRRD in base alla quale era possibile l’intervento pubblico attraverso una ricapitalizzazione precauzionale volta a “rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e a preservare la stabilità finanziaria”. Una seconda condizione per poter accedere alla ricapitalizzazione precauzionale era che la banca soddisfacesse i requisiti patrimoniali imposti dall’autorità di supervisione, pur presentando una carenza di capitale nello scenario avverso di uno stress test.
Il Ministro Padoan, audito, ha ricordato che tale deroga era stata inserita su richiesta dell’Italia in previsione della valutazione approfondita condotta nel 2014 (CA), prima che la BCE subentrasse alle autorità nazionali; lo scopo di tale eccezione era quello di poter mantenere un atteggiamento rigoroso nel CA.
Infine, tale misura doveva essere accompagnata dalla presentazione di un piano di ristrutturazione.
Il 23 dicembre 2016 la BCE, tenuto conto dell’erosione di capitale evidenziata dallo stress test, quantifica il fabbisogno patrimoniale in 8,8 miliardi, di cui 6,3 miliardi necessari per riallineare il coefficiente di capitale di qualità primaria (CET1 ratio) alla soglia dell’8 per cento e altri 2,5 miliardi per raggiungere un coefficiente di capitale totale (total capital ratio) pari all’11,5 per cento.
Il 30 dicembre, MPS trasmette al MEF, alla BCE e alla Banca d’Italia l’istanza definitiva per accedere alla ricapitalizzazione precauzionale presentando le principali linee guida del Piano di Ristrutturazione. L’approvazione del piano di ristrutturazione da parte della Commissione Europea ha richiesto tempi relativamente lunghi e una volta raggiunto l’accordo sul piano di ristrutturazione la Commissione ha assunto la propria decisione.
Nel frattempo MPS ha utilizzato ampiamente l’altro strumento di sostegno pubblico previsto dal decreto del dicembre 2016 e cioè la garanzia statale sulle obbligazioni bancarie di nuova emissione. Lo strumento era volto a evitare l’aggravamento della crisi di liquidità che la banca aveva mostrato nel corso del 2016. La banca ha richiesto l’autorizzazione a emettere obbligazioni garantite fino a un valore di 15 miliardi, ampiamente utilizzati.
Il piano finale approvato da MPS il 26 giugno 2017 prevede il ritorno a un sostanziale pareggio di bilancio nel 2018 e il raggiungimento dell’utile a partire dal 2019, con un ROE di oltre il 10 per cento nel 2021. A seguire la Commissione europea ha approvato definitivamente la misura di supporto pubblico il 4 luglio 2017. L’importo massimo dell’intervento pubblico è stato determinato in 5,4 miliardi: di cui 3,9 destinati all’aumento di capitale della banca e 1,5 al ristoro degli investitori al dettaglio tramite l’acquisto delle azioni rivenienti dalla conversione in azioni delle passività subordinate nell’ambito delle misure di “condivisione degli oneri” (c.d. burden sharing).
La misura di condivisione degli oneri tra creditori (BS), in linea con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, con gli orientamenti della Commissione nonché con le previsioni del Decreto, ha comportato la conversione in azioni di passività subordinate del gruppo per complessivi 4,7 miliardi (di cui 1,5 miliardi, come si appena detto, ristorati).
La partecipazione del Ministero del Tesoro nel capitale della Banca per effetto dell’aumento di capitale e dell’operazione di ristoro è oggi pari al 68per cento.
Per la determinazione del prezzo delle azioni ordinarie di nuova emissione da assegnare agli obbligazionisti subordinati in conversione, nonché del prezzo di sottoscrizione da parte del MEF si è reso necessario calcolare il valore delle azioni della banca prima dell’aumento di capitale, sulla base di quanto previsto dal Decreto Legge, così determinando che il prezzo delle azioni da attribuire in conversione degli strumenti patrimoniali AT1 e T2 ai fini della ripartizione degli oneri fosse pari a 8,65 euro mentre il prezzo delle azioni di nuova emissione sottoscritte dal MEF fosse pari a 6,49 euro per azione.
La ricapitalizzazione da parte del Tesoro deve essere temporanea e deve essere ceduta entro l’arco temporale di riferimento del piano cioè 5 anni. Pertanto l’esito finale di tale intervento pubblico è strettamente legato agli esiti del piano di ristrutturazione e al conseguente valore delle azioni.
Sulle caratteristiche del piano e sulla situazione attuale della banca si è soffermato nel corso della sua audizione l’attuale Amministratore Delegato di MPS, ricordano alla Commissione: i) il miglioramento delle condizioni di liquidità della banca grazie al recupero di euro 11 miliardi di raccolta diretta, 2018 che ha compensato in parte la fuoriuscita di circa euro 29 miliardi di raccolta avvenuta nel corso del 2016 e che pone le basi, per conseguire significativi benefici economici grazie alla riduzione attesa del costo del funding; ii) l’accordo vincolante con il fondo Atlante per la dismissione di euro 26,1 miliardi di crediti in sofferenza attraverso una struttura di cartolarizzazione, che prevede la cessione al fondo Atlante dei titoli Junior e Mezzanine della cartolarizzazione e il deconsolidamento entro il primo semestre del 2018; iii) la riduzione di 1.800 unità rispetto alle 4.800 previste entro il 2020; iv)1a riduzione di circa 300 filiali, mentre le rimanenti 300 verranno chiuse nel corso del 2018, come previsto dal piano.
A seguito della partecipazione del Tesoro con una quota di maggioranza assoluta, il CDA della Banca è stato rinnovato nell’assemblea del 18 dicembre 2018. La lista presentata dal Tesoro è stata oggetto di richieste di chiarimento da parte di numerosi membri della Commissione con riferimento ai criteri di adeguatezza e professionalità degli amministratori (“fit and proper”) applicati dal Tesoro, in assenza dell’atteso decreto di attuazione dell’art. 26 del TUB che darà piena attuazione alla BRRD.
7.3 La liquidazione delle due banche venete
Nell’aprile 2016 fu avviata in tempi molto rapidi la costituzione del Fondo Atlante all’interno di una società di gestione del risparmio già esistente, la Quaestio Capital Management Sgr. In pochi giorni la soglia minima di 4 miliardi per la costituzione del fondo fu raggiunta e superata, dal momento che Atlante, complessivamente, raccolse 4,25 miliardi da 67 investitori.
In occasione dell’Aumento di capitale del 2016 della BPV non viene raggiunta la percentuale minima di flottante richiesta per la quotazione presso la Borsa di Milano; l’aumento di capitale viene sottoscritto quasi interamente dal Fondo Atlante (per 1,5 miliardi) che arriva così a detenere nella BPV il 99,33 per cento.
Anche per VB l’esito del collocamento dell’aumento di capitale di un miliardo si è concluso allo stesso modo, con l’intervento massiccio e quasi totalitario di Atlante (circa 1 miliardo).
All’inizio del 2017 le due banche continuavano a versare in gravi condizioni aggravate dalla crescente crisi di liquidità. Gli azionisti della banca a seguito dell’aumento di capitale videro quasi azzerato il valore delle loro azioni, acquistate a valori intorno ai 60 euro. Pertanto le due banche hanno fatto ricorso alla garanzia statale per l’emissione di obbligazioni per un ammontare di 8,6 miliardi.
Le due banche presentavano un piano di ristrutturazione e contestuale fusione, approvato dai due consigli di amministrazione rispettivamente nei mesi di gennaio e febbraio 2017, e presentato alla BCE che richiese alle banche di chiarire le modalità di finanziamento dell’ulteriore capitale necessario per attuare il progetto. In seguito alle difficoltà di reperire nuovo capitale le banche notificarono al MEF l’intenzione di richiedere una ricapitalizzazione precauzionale, muovendosi nella direzione già tracciata nel caso di MPS.
Dopo che BCE ha confermato la solvibilità delle due banche, dal momento che la carenza di capitale era emersa solo in condizioni di stress, il Mef avvia l’interlocuzione con la Commissione insieme con le due banche, Banca d’Italia e BCE.
Tuttavia le istituzioni europee conclusero che il Piano non avrebbe garantito il ritorno ad una redditività adeguata e avrebbe richiesto un rafforzamento di capitale aggiuntivo, superiore al miliardo, di natura privata per coprire ulteriori perdite probabili, nel rispetto della direttiva BRRD, come condizione per l’intervento pubblico.
Il Ministero venne informato che la BCE si apprestava a dichiarare che le banche erano in dissesto o a rischio di dissesto e il SRM avrebbe assunto la decisione sulla ricorrenza dell’interesse pubblico e che il comitato sarebbe stato incline a escludere la sussistenza dell’interesse pubblico.
Il 23 giugno 2017 la BCE assunse la decisione in tal senso e il 25 giugno le due banche sono state poste in liquidazione coatta amministrativa, secondo la procedura ordinaria di insolvenza prevista per le banche dall’ordinamento italiano.
L’Italia ha chiesto alla Commissione l’approvazione per una misura di supporto pubblico finalizzata a facilitare l’ordinata fuoriuscita dal mercato, resa possibile dall’acquisizione – in esito a una gara condotta dalle autorità italiane in stretto contatto con quelle europee – da parte di Intesa S. Paolo (ISP), disponibile all’intervento a condizione di non peggiorare la propria situazione patrimoniale ed esposizione al rischio di credito.
Intesa Sanpaolo presentava una proposta di acquisizione al prezzo simbolico di 1 euro delle attività “buone”, esclusi tutti i NPL e facendosi carico delle passività delle due banche (depositi e obbligazioni) ad esclusione delle obbligazioni subordinate, insieme con sportelli e dipendenti. Inoltre, la banca richiedeva una serie di condizioni che vennero tutte accolte. Per assicurare la neutralità patrimoniale dell’operazione e a compensazione degli oneri derivanti dal piano di ristrutturazione e della conseguente gestione degli esuberi, il Tesoro ha versato a Intesa 4,8 miliardi di euro, a fondo perduto. Da ultimo lo Stato ha concesso a Intesa una garanzia, a copertura di eventuali ulteriori perdite sui crediti per un importo massimo di 12,4 miliardi.
I crediti deteriorati sono stati trasferiti alla Società per la Gestione degli Attivi (SGA), di proprietà statale specializzata nel recupero crediti creata nel 1997 in occasione del salvataggio del Banco di Napoli. I proventi dell’attività di recupero di questi crediti verranno usati per rimborsare i creditori delle due banche in liquidazione, dando priorità allo Stato, che potrebbe così recuperare parte delle somme versate.
Come detto, le obbligazioni subordinate sono rimaste nel passivo delle banche in liquidazione e sono le ultime ad essere eventualmente rimborsate con i proventi della liquidazione.
Anche per gli obbligazionisti subordinati al dettaglio delle due banche venete è prevista una parziale forma di ristoro, analoga a quella prevista per le quattro banche a carico del FITD. Quest’ultimo, a chiusura del tempo previsto per le domande di indennizzo forfettario, ha comunicato che sono pervenute 8090 istanze per un importo complessivo di poco inferiore ai 50 milioni di euro. Inoltre Intesa si è dichiarata disponibile ad integrare il rimborso forfettario in modo che esso possa essere totale.
E’ in corso di emanazione il regolamento con cui vengono estese le regole già previste per quattro banche in risoluzione.
Le sette crisi, come si è visto, hanno trovato soluzioni formalmente diverse che, in conclusione hanno permesso di non applicare, in nessun caso, il bail-in.
- L’adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario, nonché sul sistema di vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie (art. 3, lett. d)
Il quadro normativo di riferimento, nazionale ed europeo è già oggi molto diverso da quello vigente nel periodo in cui si sono manifestati i fatti oggetto dell’inchiesta.
Pertanto, prima di entrare nel merito delle proposte conclusive, merita effettuare una breve disamina della disciplina attualmente vigente o in corso di emanazione.
8.1. La vigilanza nel contesto della Mifid 2
Per valutare se dotare anche la Banca d’Italia degli stessi poteri previsti per la Consob dall’art. 187octies e 187decies del T.U.F. (richiesta di notizie e dati a chiunque possa essere informato, potere di richiedere registrazioni telefoniche esistenti, di procedere ad audizione personale, di procedere al sequestro dei beni che possono formare oggetto di confisca, ad ispezioni, e financo a perquisizioni, con autorizzazione del Procuratore della Repubblica) va rilevato come, con l’entrata in vigore della Direttiva (c.d. MIFID II) n. 2014/65/UE (D. L.vo 3.08.2017 n. 129), si siano incrementati i poteri inquirenti della Banca d’Italia. Infatti in riferimento a molti settori della vigilanza, i poteri di Banca d’Italia sono stati rafforzati ed estesi. La nuova formulazione dell’art. 7 del T.U.F. prevede al comma I ter, tra i poteri d’intervento sui soggetti abilitati, il potere, non solo di Consob, ma anche di Banca d’Italia, di “pubblicare avvertimenti al pubblico”. Ed ancora: l’art. 7 bis del T.U.F., nella nuova formulazione, sancisce che non solo Consob, ma anche Banca d’Italia possa ordinare la sospensione della commercializzazione o la vendita di prodotti finanziari o di depositi strutturati. Per quanto concerne la vigilanza sulle sedi di negoziazione (art. 62 comma I TUF, come modificato dal D.Lo attuativo della direttiva MIFID II) e sulle sedi di negoziazione all’ingrosso (art. 62ter T.U.F.) la Banca d’Italia si è vista riconosciuto il potere di chiedere a chiunque la trasmissione di atti e di documenti, nonché procedere ad audizione personale ecc. (art. 62octies) e pubblicare avvertimenti al pubblico (art. 62decies). In riferimento alla vigilanza regolamentare ed informativa sulle sedi di negoziazione all’ingrosso dei titoli di stato alla Banca d’Italia sono state riconosciute diverse attribuzioni che prima erano di CONSOB ed insieme a CONSOB le è stato attribuito il diritto di accesso al book di negoziazione.
Per quanto concerne la collaborazione tra Autorità di Vigilanza il D. Lvo di attuazione della direttiva Mifid II prevede un più sistematico interscambio tra le Autorità di Vigilanza: così, in riferimento ai poteri sui soggetti abilitati, è previsto che la Banca d’Italia possa disporre le audizioni di cui al comma II bis dell’art. 7 del T.U.F. “sentita la Consob”; in riferimento ai poteri ingiuntivi nei confronti degli intermediari finanziari nazionali e non UE ed in particolare al divieto di intraprendere nuove operazioni, è previsto (art. 7ter T.U.F.) che l’autorità di vigilanza che procede, senta l’altra autorità. Medesima previsione è introdotta dall’art. 7quater comma II del T.U.F., in ordine ai poteri nei confronti degli intermediari UE. Nei diversi settori della vigilanza il legislatore ribadisce la necessità che Consob e Banca d’Italia si scambino reciprocamente le informazioni e stringano dei protocolli d’intesa al riguardo (artt. 62ter, 62quater T.U.F.).
Sempre in riferimento alla collaborazione tra Autorità di Vigilanza nell’ambito nazionale, l’art. 6ter del T.U.F. (introdotto ad opera del D. Lvo 129 del 2017) in tema di poteri ispettivi della Banca d’Italia e di Consob, prevede al comma V che ciascuna autorità comunichi le ispezioni disposte all’altra autorità, la quale può richiedere accertamenti su profili di propria competenza.
Per quanto riguarda la vigilanza europea sulle banche “significant”, è il SSM che decide autonomamente se e quali informazioni fornire alle autorità di vigilanza dei mercati dei singoli stati membri.
L’art. 7 comma VI del T.U.B. precisa come le informazioni ricevute dalla Banca d’Italia dalle autorità ed i comitati che compongono il SEVIF e il SSM possono essere trasmesse alle autorità italiane competenti, salvo il diniego delle autorità che ha fornito le informazioni.
L’audizione del Dott. Apponi del 2 novembre 2017 chiarisce che la CONSOB “non può intervenire rispetto ai bilanci delle emittenti non quotate, censurandone eventuali scorrettezze” e che per quanto riguarda la vigilanza sui prospetti, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2003/71/CE, “i controlli si sostanziano nella verifica di completezza, coerenza e comprensibilità delle informazioni contenute nel prospetto stesso. Si tratta di controlli effettuati nel quadro di una normativa europea”.
8.2. La nuova disciplina sulla Governance bancaria nel contesto delle Capital Requirements Directives (CRD IV)
Negli ultimi anni, a seguito della crisi finanziaria avviatasi dal 2007, è notevolmente cresciuto l’impegno di istituzioni internazionali e autorità di vigilanza nella costruzione di un quadro normativo per raggiungere l’obiettivo di migliorare la governance delle banche. Tale impegno scaturiva da una concordanza di opinioni sul punto che la crisi finanziaria internazionale fosse stata anche determinata da carenze nella governance delle banche, che pertanto era necessario rafforzare.
L’attuale normativa europea è il risultato di una continua evoluzione del disegno istituzionale internazionale sulla governance bancaria che è possibile ritrovare in una serie di documenti quali OECD (2009), Corporate Governance and the Financial Crisis: Key Findings and Main Messages; Commissione Europea (2010), Corporate Governance in Financial Institutions: Lessons to be drawn from the current financial crisis, best practices; BIS (2010), Basel Committee on Banking Supervision Principles for Enhancing corporate governance; EBA (2012), Guidelines on Internal Governance. Tuttavia solo con l’emanazione della Capital Requirements Directive (CRD IV (Direttiva 2013/36/UE) la centralità attribuita alle tematiche di governance nel dibattito internazionale trova esplicito riconoscimento a livello di normativa primaria.
I numerosi “Considerando” della citata Direttiva dedicati alla governance (dal n.53 al n. 62) permettono di cogliere l’importanza che il legislatore europeo ha inteso attribuire a questo profilo nell’ambito della nuova regolamentazione bancaria. Nel testo normativo, gli artt. 88-95 CRD IV ai quali va aggiunto l’art. 76, dettano una serie di disposizioni che fissano alcune regole comuni riferite principalmente all’“organo di gestione” della società, cui sono attribuiti una serie di compiti specifici, soprattutto in materia di governo dei rischi (artt. 76 e 88) e impongono un’articolazione dell’organo collegiale in comitati interni per un corretto ed efficiente esercizio di tali funzioni (artt. 76, commi 3 e 4, CRD IV: comitato rischi; art. 88, comma 2, CRD IV: comitato nomine; art. 95 CRD IV: comitato remunerazioni). Inoltre, anche in relazione ai nuovi compiti attribuiti all’organo di amministrazione, vengono fissati criteri sulla base dei quali valutare l’idoneità a ricoprire la carica (art. 91, CRD IV). Tale articolo fissa i “fit and proper criteria”, ovvero le caratteristiche che il singolo amministratore e il board nel suo complesso, devono possedere e gli elementi da considerare per accertare tali caratteristiche.
Al fine di integrare e allineare il diritto interno al precetto comunitario, con il d.lgs. n. 12 maggio 2015, n. 72, sono state introdotte una serie di modifiche al TUB e al TUF, alcune delle quali ancora non pienamente implementate: in particolare, l’art. 26 TUB in materia di requisiti di idoneità degli esponenti aziendali, destinato ad attuare l’art. 91 CRD IV per il quale è stata avviata una pubblica consultazione, chiusa da qualche mese.
La nuova normativa, così come delineata nel documento in consultazione, viene emanata in coerenza con le Linee Guida che disciplinano le verifiche dei requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti aziendali che la Banca Centrale Europea (BCE) ha pubblicato il 15 maggio 2017 e che definiscono le condotte che quest’ultima, nel quadro del SSM, segue a valere su intermediari “significant” (e “less significant”, ma solo nel caso di rilascio di una nuova licenza bancaria ovvero a fronte di assunzione di nuove partecipazioni qualificate). Così come è coerente con le Linee Guida congiunte dell’European Banking Autority (EBA) e dell’European Securities & Markets Autority (ESMA) pubblicate il 26 settembre 2017 sulla valutazione dell’idoneità dei membri dell’Organo Amministrativo e dei responsabili di alcune funzioni chiave quali il CFO e i Responsabili delle Funzioni Aziendali di Controllo.
Le Linee Guida BCE disciplinano i criteri secondo i quali l’Autorità sovranazionale conduce le proprie valutazioni sugli esponenti aziendali (i.e. componenti degli organi aziendali), che si ispirano alle previsioni della CRD IV e che si conformano a quelli delle Linee Guida EBA/ESMA. In particolare, dettano regole di idoneità individuale dei singoli membri degli organi e di alcune figure chiave delle funzioni di controllo e regole di adeguatezza complessiva del board. BCE individua 5 criteri: i) experience; ii) reputation; iii) conflicts of interest and independence of mind; iv) time commitment; v) collective suitability.
Le line guida congiunte di EBA ed ESMA, per la valutazione degli esponenti aziendali prendono in considerazione criteri simili: i) Commitment of time, ii) Knowledge, Skills (ivi comprese le soft skills) and Experience, iii) Reputation, Onesty and Integrity, iv) Independence of Mind. A tali criteri EBA ed ESMA aggiungono la diversity del Board, intesa come diversity di età, genere, background e provenienza geografica. Una adeguata diversity si ritiene che possa accrescere la independence of mind a livello collegiale, riducendo il manifestarsi del fenomeno del cosiddetto “group thinking”, considerato anche questo un fattore di debolezza della governance.
Per il dettaglio delle Linee guida si rimanda ai documenti. Qui basti ricordare che obiettivo delle normative è quello di pervenire a Board che, rispetto al passato: i) abbiano maggiori conoscenze ed esperienza delle problematiche bancarie e dei relativi rischi, nonché del contesto normativo di riferimento, di tematiche di governo societario, di accounting ed informativa di bilancio; ii) rispettino requisiti di onorabilità più stringenti ai quali non deve applicarsi il principio di proporzionalità. Il caso di esponenti per i quali vi siano procedimenti penali e amministrativi, in corso e conclusi costituisce oggetto di valutazione dell’onorabilità dell’esponente nominato e della banca vigilata, pur nella presunzione di innocenza. L’autorità di vigilanza, sulla base delle informazioni disponibili e della valutazione dei requisiti dell’esponente nominato da parte del Board, valuta la rilevanza dei fatti e il loro impatto sull’onorabilità dell’esponente tenendo anche in considerazione l’impatto di più eventi giudiziari secondari. La BCE presta particolare attenzione anche a iii) eventuali conflitti di interesse che dovessero sorgere in capo a singoli amministratori pur nel rispetto dell’applicazione di specifiche disposizioni nazionali vigenti e può richiedere misure di mitigazione di tali rischi aggiuntivi. Un aspetto rilevante nelle nuove policy di governance è iv) la disponibilità di tempo. Quest’ultima viene valutata in funzione del numero degli incarichi, le dimensioni e la situazione degli enti in cui questi sono ricoperti unitamente alla natura, portata e complessità delle attività, altri impegni e circostanze di natura professionale, etc. In particolare, con riferimento al numero degli incarichi si ricorda che la CRD IV fissa un limite e fornisce inoltre una serie di regole sul loro computo.
Accanto all’idoneità individuale le nuove regole di governance si riferiscono all’idoneità (suitability) complessiva del board e pertanto la banca deve anche valutare la misura in cui il singolo esponente aziendale contribuisce all’idoneità complessiva dell’Organo anche in termini di diversity; tale valutazione viene poi sottoposta all’autorità di vigilanza che ne verifica la correttezza. L’autovalutazione individuale e collettiva da parte del board attraverso un processo periodico e strutturato, frequentemente con il contributo di società di consulenza, è considerata, a livello internazionale, come un valido strumento per la valutazione dell’efficacia del board.
Nella nuova disciplina l’organo di vigilanza, anche sulla base della documentazione pervenuta dalla banca a seguito dell’autovalutazione, a conclusione del suo iter di valutazione della adeguatezza del board e dei singoli amministratori, in caso di esito negativo ha il potere di rimozione dei componenti dell’organo, sulla base dei poteri attribuiti alla BCE nell’ambito del SSM. In tali casi, la banca e l’esponente interessato, ricevono notifica delle decisioni adottate, e hanno facoltà di chiedere il riesame alla Commissione amministrativa della BCE o impugnare l’atto dinanzi alla Corte di Giustizia. Il potere di rimozione, come vedremo, è stato introdotto anche nella normativa bancaria italiana nel 2015.
Il quadro normativo, come detto, sarà completo quando verrà emanata la modifica dell’art. 26 del Testo Unico Bancario (TUB) in relazione ai requisiti degli esponenti aziendali; per la quale si attende l’apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (sentita Banca d’Italia). Attraverso il decreto saranno identificati i criteri di professionalità, onorabilità, competenza, correttezza e cumulo di incarichi degli esponenti aziendali che si applicheranno alle banche e agli altri intermediari finanziari, indipendentemente dalle dimensioni, seppur coerentemente con il principio di proporzionalità, commisurato alle dimensioni dell’ente, alla natura, alla portata e alla complessità delle sue attività, nonché al particolare incarico che il singolo esponente è chiamato a ricoprire. A seguito dell’emanazione del decreto è altresì prevedibile che la normativa dettata dalla Banca d’Italia di recepimento della normativa europea della CRD4 con Circolare 285 del 17 dicembre 2013 debba essere in alcuni punti modificata per tener conto anche delle valutazioni espresse da più parti ai diversi documenti sopra delineati in considerazione delle specificità di contesto nazionali, quali, per esempio, un modello di governo societario, chiamato “tradizionale”, poco o per nulla diffuso in altri paesi europei e la necessità di assegnare la giusta enfasi ai procedimenti giudiziari in corso nell’ambito della valutazione dell’onorabilità, tenuto conto dei tre gradi di giudizio dei procedimenti giudiziari In Italia che finiscono per avere durata pluriennale.
Da ultimo in tema di governance è opportuno ricordare che, con le modifiche apportate al TUB con la versione aggiornata al D.Lgs. 21 aprile 2016, n.72. al Titolo VIII “Sanzioni” Artt. 130 – 145, è stato fortemente inasprito l’impianto sanzionatorio nei confronti degli esponenti aziendali. Infatti: i) sono state elevate le sanzioni amministrative pecuniarie fino a 5 milioni di euro nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministratori, quando l’inosservanza è conseguenza della violazione dei doveri propri o dell’organo di appartenenza; ii) Banca d’Italia può applicare la sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni, dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso intermediari autorizzati.
- Proposte di aggiornamento del quadro normativo e regolamentare di riforma del sistema di controllo e vigilanza
Di seguito si propongono alcune riflessioni sugli aspetti più rilevanti emersi nel corso dei lavori della Commissione che potranno essere valutate dal futuro Parlamento, in vista di possibili iniziative legislative.
L’azione delle Autorità di Vigilanza ha mostrato alcune carenze e pertanto è necessario accrescerne l’efficacia, agendo in più direzioni, in un contesto divenuto più complesso e in fieri. Si ricorda infatti che a partire dal 2014 le problematiche attinenti la vigilanza bancaria hanno assunto a seguito dell’Unione Bancaria un duplice profilo: quello europeo che interessa al momento le banche Significant (oggi 11 gruppi bancari italiani il cui peso tuttavia in termini di attività rappresenta più dell’80 per cento del sistema) e quello nazionale che riguarda le banche Less significant.
La collaborazione tra Banca d’Italia e Consob è stata carente e pertanto è necessario rafforzarla.
Un passo in tale direzione è già avvenuto con l’introduzione dell’art. 6ter del T.U.F. da parte del D. Lgs 129 del 2017, di attuazione della Direttiva c.d. “Mifid II” che, in tema di poteri ispettivi della Banca d’Italia e di Consob, prevede al comma V che ciascuna autorità comunichi le ispezioni disposte all’altra autorità, la quale può richiedere accertamenti su profili di propria competenza. Tale soluzione potrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso processi ben definiti e, soprattutto, tempistiche più stringenti, in modo da garantire che ciascuna autorità sia messa nelle condizioni di richiedere quanto di eventuale interesse.
Secondo alcuni la carenza nella collazione deriva dal fatto che gli obblighi di collaborazione tra le diverse autorità di vigilanza sarebbero privi di sanzione. Si è tuttavia rilevato che prevedere una sanzione alla violazione dell’obbligo di comunicazione tra le diverse autorità di vigilanza, significherebbe istituire un’autorità di vigilanza delle autorità di vigilanza, con un ulteriore allungamento e complicazione della filiera dei controlli e con la concentrazione di fatto in capo ad un’unica “super autorità” degli obiettivi di stabilità da un lato e di trasparenza dall’altro. E che la violazione dell’obbligo di comunicazione tra autorità di vigilanza già non è priva di effetti giuridici, dal momento che, dettando la normativa in questione un dovere di intervento e di attivazione, la sua omissione dolosa rientrerebbe nella previsione dell’art. 40 cod. pen., in riferimento a quelle fattispecie penali, che una corretta informazione tra autorità avrebbe potuto impedire.
La Commissione ha anche preso in considerazione l’opportunità di prevedere uno specifico obbligo di trasmissione di tutti gli atti prodotti nell’attività di vigilanza, dalla relazione ispettiva alle raccomandazioni, alla contestazione di sanzioni. Tuttavia, dal punto di vista pratico si rischierebbe un “effetto alluvionale” di documenti, che potrebbe avere esito opposto rispetto a quello desiderato, mentre dal punto di vista teorico vi potrebbero essere effetti distorsivi, in riferimento al possibile punto di mediazione tra i due obiettivi della vigilanza, quello della stabilità, affidato alla Banca d’Italia e quello della trasparenza del mercato, affidato a Consob: infatti se tutti gli atti dell’una fossero trasmessi all’altra autorità, la sintesi tra i due diversi obiettivi toccherebbe all’autorità ricevente, dovendo essa decidere se, in quale misura e con quale pubblicizzazione, utilizzarli.
Una soluzione semplice sembra quella di riformare le disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 del Tuf prevedendo l’obbligo per ciascuna Autorità di trasmettere tempestivamente non tutto ma i verbali integrali delle ispezioni all’altra Autorità interessata, allegando una comunicazione sintetica delle prescrizioni comunicate alla banca ispezionata che dovrebbe comparire nel prospetto e segnalando altresì se per motivi di tutela della stabilità vi siano profili che non debbano essere pubblicizzati. A Consob spetterebbe il compito di vigilare sull’effettivo rispetto da parte della banca sul dovere di inserimento delle indicazioni di Banca d’Italia. In questo modo si otterrebbero due risultati importanti: in primo luogo le autorità di vigilanza disporrebbero entrambe di un archivio comune sulle attività ispettive svolte e sui loro esiti. In secondo luogo, si ridurrebbe il potere discrezionale delle banche di eludere, nella rappresentazione dei prospetti, le prescrizioni rese dalla vigilanza con funzione prudenziale e di stabilità, sperando che l’Autorità preposta al controllo di correttezza e trasparenza (Consob) non ne sia a conoscenza.
Rischia inoltre di essere illusorio pensare di riscrivere solo le norme nazionali dopo che è stato radicalmente cambiato il quadro normativo europeo. In questo ambito è entrato in vigore il regolamento “Market Abuse Regulation” secondo cui la informazione scambiata tra BCE e autorità nazionali di vigilanza dei mercati, come Consob, debba essere precisa oltreché rilevante e questo principio rischia di ridurre la portata dei flussi informativi verso Consob. Né si può pensare che eventuali interventi sulla tematica della collaborazione tra Consob e Banca d’Italia, che ora riguarda solo le banche piccole (“less significant”), possa ispirarsi a un principio completamente diverso da quello che la BCE deve adottare per le banche più importanti. Si instaurerebbe un doppio regime di flussi informativi, col rischio di segmentare la tutela dei risparmiatori a seconda della dimensione della banca di appartenenza.
Un’alternativa da valutare potrebbe essere un approfondimento della soluzione tedesca. In Germania, la cooperazione tra le autorità interessate (Bundesbank e BAFIN) è attuata attraverso: (i) la condivisione delle informazioni rilevanti (BAFIN ha accesso ai database di Bundesbank); (ii) la compartecipazione ai processi decisionali (un rappresentante di Bundesbank partecipa alle riunioni di BAFIN sugli intermediari bancari); e (iii) l’istituzione di un organo preposto al coordinamento delle rispettive competenze (i.e. il Forum für Finanzmarktaufsicht, cui partecipa – oltre a BAFIN e Bundesbank – anche il Ministero delle finanze).
Appare opportuno valutare la previsione di allargare a Banca d’Italia i poteri investigativi già riconosciuti a Consob dal T.U.F. (artt. 187octies e 187decies) e quindi, tra l’altro, il potere di utilizzare la polizia giudiziaria per effettuare accessi, ispezioni e perquisizioni, su autorizzazione dell’A.G.
- Maggiori limiti alla possibilità di essere assunti o avere incarichi presso gli enti vigilati (Questione denominata delle “porte girevoli” o il c.d. “pantouflage”)
Nel corso dell’inchiesta, la Commissione ha potuto constatare che alcuni ex dipendenti dell’autorità di vigilanza nonché altri soggetti, un tempo titolari di una funzione di pubblico controllo (magistrati, ufficiali della Guardia di Finanza, etc..) cessati dalle loro funzioni, hanno assunto incarichi nelle banche. Più in generale accade che ex funzionari di autorità di vigilanza svolgano attività professionali in studi legali e società di consulenza. Tale fenomeno viene in parte limitato con l’adozione di un codice etico da parte di Banca d’Italia (che evidentemente non può essere opposto a chi avesse interrotto il rapporto di lavoro) e dall’art. 29bis L. 262/2005 per Consob.
Questa Commissione ritiene che debbano essere posti limiti più stringenti al fenomeno.
Con l’entrata in vigore della Legge Anticorruzione (art. 1 comma 42 L. 190/2012) tale pratica è vietata per tre anni dalla cessazione del rapporto di pubblico impiego per i dipendenti che abbiano esercitato poteri autoritativi e negoziali per conto della P.A.
E’ opportuno valutare se estendere tale sbarramento (la cui ratio è quella di evitare che, durante l’esercizio del suo servizio, il pubblico impiegato possa essere in conflitto d’interessi, avendo un’aspettativa, o addirittura una trattativa in corso, in relazione ai suoi futuri sviluppi lavorativi) anche al di fuori del pubblico impiego, per quei casi di esercizio di pubbliche funzioni all’esterno della P.A.
- Superamento del vigente modello ibrido di vigilanza (settoriale e per finalità) e passaggio al modello per finalità, c.d. “Twin Peaks“
Questa Commissione ritiene che debba essere valutato il superamento del vigente Modello ibrido di vigilanza (settoriale e per finalità) e il passaggio al Modello per finalità, Twin Peaks (TP). Nella prospettiva della semplificazione dell’assetto delle autorità di vigilanza potrebbe essere preso in considerazione l’accorpamento di Ivass e Covip dal momento che i confini tra strumenti, intermediari e mercati sono sempre più sfumati. D’altro lato, l’alternativa del Modello Accentrato, che prevede una sola autorità di vigilanza, produce una concentrazione di poteri in cui sono alti i rischi di monopolio. Il secondo prevedendo due autorità, una che persegue la stabilità e l’altra che persegue la trasparenza appare preferibile, a condizione che venga accompagnato preliminarmente da un rafforzamento del sistema di scambio reciproco di informazioni (di cui si è detto sopra).
Potrebbero inoltre essere valutate riunioni a cadenza periodica ravvicinata del Comitato per la Salvaguardia della Stabilità Finanziaria (istituito nel marzo 2008 con la firma di un protocollo congiunto tra MEF, Banca d’Italia, Consob e ISVAP) oppure l’istituzione di un organo consultivo che si esprima sulle disposizioni legislative e regolamentari relative al settore assicurativo e bancario e che veda la partecipazione – e il confronto diretto – dei vari stakeholders (i.e. consumatori, operatori di mercato, autorità di regolazione, professionisti ed esperti). L’esperienza francese del Comité Consultatif de la Législation et de la Réglementation Financières suggerisce, infatti, che un approccio trasversale in ambito bancario e assicurativo possa favorire maggiore coerenza nell’evoluzione del quadro normativo di settore.
Il Comité Consultatif de la législation et de la réglementation è stato creato nel 2003, e viene adito dal Ministro dell’Economia per esprimere pareri su atti legislativi e regolamentari che riguardino il settore assicurativo e bancario. Un eventuale parere sfavorevole del Comité può essere disatteso solo dopo che il Ministro abbia richiesto al Comité una seconda deliberazione. Presieduto dal Ministro dell’economia, il Comité si caratterizza per una composizione eterogenea e trasversale, che vede la presenza di rappresentanti del Parlamento, della Banca Centrale Nazionale, del Ministero della Giustizia, nonché rappresentanti del mondo bancario e assicurativo, e della clientela finale (imprese e consumatori).
Per completezza, vale la pena evidenziare che il Comité non ha competenza sugli atti entranti nella competenza dell’Autorité des marchés financiers (AMF – assimilabile alla Consob); quest’ultima Autorità viene però coinvolta nei lavori del Comité qualora siano all’esame prescrizioni di ordine generale riguardanti anche l’attività dei prestatori di servizi di investimento.
- Rafforzamento del disegno istituzionale, della collaborazione tra autorità di vigilanza e dell’efficacia della loro azione nel contesto europeo
Questa Commissione ritiene che sia necessario completare il disegno delle autorità di vigilanza europee, dal momento che l’attuale assetto istituzionale, settoriale, vede per le banche una unione bancaria europea strutturata su tre pilastri, mentre con riferimento alle assicurazioni e ai mercati è necessario implementare una vigilanza integrata secondo gli auspici della Commissione Europea di cui alla comunicazione del 20.09.2017 (dove, tra gli obiettivi a lungo termine, viene individuata l’istituzione di una unica autorità di vigilanza europea dei mercati di capitali). Un completo Sistema di Vigilanza a livello europeo è opportuno, considerato anche che il perimetro dell’attività bancaria e finanziaria non è più circoscritto all’ambito nazionale.
In attesa che ciò avvenga, potrebbe valutarsi l’opportunità che il nostro Paese spinga nella direzione di dare maggior peso alle necessità di trasparenza che le autorità nazionali come la Consob devono garantire per la protezione del risparmio, anche attraverso un protocollo di collaborazione tra l’ESMA e le Autorità di Vigilanza Nazionali, prevedendo per la prima più forti poteri, affinché essa possa assumere a livello europeo un potere di coordinamento delle autorità nazionali più incisivo e un potere di interlocuzione con la BCE più esteso.
Questa Commissione ricorda che anche l’assetto istituzionale dell’Unione Bancaria non è completo dal momento che occorre dare piena attuazione al terzo pilastro, quello relativo alla sicurezza dei depositi, come peraltro ricordato dal membro del Consiglio di Vigilanza BCE nella sua audizione del 20 dicembre 2017. In questa prospettiva, la Commissione invita le competenti autorità a rendersi parti attive nel superamento delle diverse posizioni emerse nel confronto tra i Paesi.
Al fine di migliorare l’interazione delle autorità di vigilanza questa Commissione ricorda che la Raccomandazione del Comitato Europeo per il Rischio Sistemico (ESRB) del 22 dicembre 2011 – relativa al mandato macroprudenziale delle autorità nazionali cui hanno fatto seguito altri atti comunitari di indirizzo ha invitato gli Stati membri a designare nella legislazione nazionale un’autorità cui affidare la conduzione delle politiche macroprudenziali, che nel caso italiano è stata individuata nella Banca d’Italia. E tuttavia l’iter legislativo per il totale recepimento nell’ordinamento giuridico italiano delle disposizioni attuative degli indirizzi della Raccomandazione è stato avviato ma è necessario portarlo a compimento al più presto.
Tra le due alternative perseguibili che si sostanziano nella designazione di un’istituzione unica ovvero nella costituzione di un Comitato composto dalle autorità di vigilanza la cui azione abbia un impatto concreto sulla stabilità finanziaria, tenuto conto della ripartizione di competenze tra le autorità di vigilanza italiane e delle carenze riscontrate nella comunicazione tra le medesime autorità, sembrerebbe più opportuna la costituzione di un Comitato. Ferma restando la necessità di semplificazione delle autorità di vigilanza, si dovrà valutare se tale comitato debba essere presieduto da Banca d’Italia o dal Ministro dell’Economia e delle Finanze. Il Comitato avrebbe il ruolo principe di verificare l’andamento ed i rischi della stabilità del sistema finanziario italiano.
Questa Commissione ritiene opportuno sostenere a livello europeo la necessità di porre in essere una maggiore sinergia tra le autorità di vigilanza del sistema bancario e finanziario e tra le stesse e la Commissione europea ed il Parlamento Europeo.
La governance delle banche si è rivelata carente ed è pertanto necessario rafforzarla.
La Commissione auspica che il Decreto del Mef di modifica dell’art. 26 del Tub venga emanato al più presto così come le eventuali modifiche da apportare alla Circolare 285/2013 di Banca d’Italia e le eventuali Note di chiarimento che si rendessero necessarie.
- Introduzione di regole più stringenti per l’innalzamento delle competenze dei “board” e per la verifica del funzionamento dei “board”
La Commissione ritiene che sia necessario perseguire l’obiettivo di un ulteriore innalzamento delle competenze dei board, e che un contributo a riguardo possa pervenire da una raccomandazione dell’autorità di vigilanza volta a rendere i processi di raccolta delle candidature per i Board, da parte delle singole banche, aperti e trasparenti così da permettere ad una più ampia platea di candidati di partecipare alla selezione ed al pubblico la visibilità dei curricula pervenuti.
La Commissione ritiene che il ruolo degli amministratori indipendenti vada rafforzato, sia attraverso norme più rigorose con riferimento a tale aspetto, già nel l’emanando decreto di attuazione dell’art. 26 del TUB sia attraverso il maggior riconoscimento del loro ruolo da parte delle autorità di vigilanza nella pratica prevedendo specifici incontri con tale categoria di amministratori, flussi periodici di comunicazione con le autorità di vigilanza, un loro maggiore coinvolgimento nelle scelte relative al personale destinato alle funzioni di controllo e alle modalità di remunerazione degli stessi.
La Commissione, pur condividendo l’impianto delle Linee guida Europee volto al rafforzamento delle competenze e dell’impegno in termini di tempo dei componenti dei board, ritiene che la sua vera efficacia potrà essere valutata solo ex post. Tale valutazione dovrà dare un minore peso ai documenti predisposti dalle banche in sede di autovalutazione e avvalersi maggiormente di strumenti diretti di valutazione da parte delle autorità di vigilanza, lungo le linee già sperimentate dalle autorità di vigilanza nazionali ed europea attraverso il monitoraggio dell’andamento dei Consigli sulla base dei Verbali o attraverso la presenza di esponenti della Vigilanza in qualità di auditori in singole sedute di consigli di amministrazione.
La Commissione, anche a seguito delle risultanze dell’indagine sulle banche in crisi con riferimento a numerosi casi di erogazione di crediti da parte della banca a singoli amministratori/imprenditori ritiene che nella valutazione dell’adeguatezza dei requisiti di tali soggetti la normativa possa prevedere una analisi accurata sia con riferimento alla effettiva disponibilità di tempo da dedicare allo svolgimento della carica, sia prevedendo più stringenti limiti di fido loro applicabili, fino a porre il divieto di erogazione di credito nei loro confronti o a valutare l’opportunità di limitare la partecipazione della categoria degli imprenditori ai board.
Un altro aspetto che la Commissione ritiene opportuno approfondire ed eventualmente modificare a livello di normativa secondaria è la prassi in base alla quale il C.d.A. approva, assumendosi pertanto le responsabilità della decisione, della valutazione del merito creditizio e del relativo pricing, i singoli fidi di elevato ammontare, definiti in base alla normativa e ai regolamenti interni di ciascuna banca. Sarebbe opportuno valutare se non sia più efficace, anche ai fini della riduzione dei conflitti di interesse, che tale responsabilità ricada esclusivamente in capo al management (non solo al responsabile dei crediti, ma anche al Direttore Generale ed all’A.D., proponenti) mentre in capo al Consiglio rimarrebbero i più generali compiti di valutazione ed approvazione ex ante ed ex post del rischio creditizio dell’intero portafoglio e dell’efficacia del sistema dei controlli.
Da ultimo la Commissione ritiene che possa essere oggetto di approfondimento nelle sedi europee più opportune l’eventuale rafforzamento dei requisiti di idoneità degli esponenti aziendali nei casi di crisi che comportino l’intervento dello Stato e il contestuale mantenimento in attività della banca, avendo quest’ultima una reputazione da ricostruire.
L’elevatezza dei crediti deteriorati (NPL) in Italia è dipesa, come è stato ampiamente documentato, da fattori specifici (legati alle condotte non sempre lecite delle singole banche) e da fattori di contesto (la lunga recessione e i tempi di recupero dei crediti inesigibili notevolmente più elevati rispetto a quelli della gran parte dei paesi europei). I tempi e la complessità delle procedure di recupero dei crediti influiscono anche sulla determinazione del valore dei crediti deteriorati e conseguentemente del loro prezzo in caso di cessione.
I fattori di contesto sopra richiamati negli ultimi anni hanno indebolito tutte le banche italiane e pertanto questa Commissione ritiene che sia opportuno adottare provvedimenti specifici – che accompagnino le pur necessarie più efficaci politiche aziendali volte a massimizzare il recupero dei crediti – finalizzati alla riduzione dei NPL nei portafogli delle banche.
La riduzione dei crediti deteriorati rappresenta una delle principali sfide per il settore bancario italiano, dal momento che il loro volume complessivo, nonostante si sia ridotto negli ultimi due anni, rimane ancora eccessivamente elevato e incide ancora in maniera rilevante sulla capacità del settore bancario di finanziare il sistema delle imprese.
Il D.L. 27.6.2015 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 6.8.2015 n. 132, ha introdotto una serie di misure in materia fallimentare civile e processuale con lo scopo di ridurre i tempi del processo esecutivo e di semplificarne le formalità. La Commissione invita il prossimo Governo e le autorità di vigilanza a monitorare l’adeguatezza delle misure adottate negli ultimi tre anni per rendere più agevole e più veloce lo smobilizzo e la cessione dei crediti assistiti da garanzie reali, con particolare riferimento agli effetti delle norme fallimentari o parafallimentari, per individuare gli strumenti più utili per la valorizzazione degli immobili ai fini dell’economia reale.
- Creazione di un organismo pubblico di gestione delle attività deteriorate (Bad Bank) almeno a livello nazionale, sulla base di un framework europeo
Questa Commissione condivide e fa proprie le conclusioni della VI Commissione del Senato sulla necessità di creare un organismo pubblico di gestione delle attività deteriorate (Bad Bank) almeno a livello nazionale, sulla base di un framework europeo, in grado di agevolare gli enti creditizi nella ristrutturazione dei bilanci. Si ricorda in proposito che la Commissione europea ha avviato nel luglio 2017 un’ampia consultazione pubblica sullo sviluppo dei mercati secondari per i prestiti in sofferenza e le attività deteriorate nonché per la protezione dei creditori garantiti in caso di insolvenza del debitore. Scopo della consultazione che si è chiusa il 20 ottobre era di raccogliere indicazioni per l’elaborazione di misure legislative volte a eliminare o ridurre gli ostacoli che gravano sui mercati secondari per i prestiti in sofferenza in modo da favorirne lo sviluppo, nonché di ricevere osservazioni per quanto riguarda un’eventuale iniziativa legislativa dell’Unione europea finalizzata al rafforzamento della capacità dei creditori di recuperare il valore dei prestiti garantiti alle imprese e agli imprenditori («garanzia di prestito accelerata»).
Si ricorda anche che la BCE nel 2017 ha posto in consultazione il documento che rappresenta un Addendum alle Linee Guida sulla gestione dei NPL. In tale documento si delinea la proposta, con riferimento ai nuovi crediti deteriorati, di effettuare accantonamenti pluriennali equivalenti al 100 per cento del loro ammontare. A seguito della chiusura della consultazione a dicembre 2017, nella sua audizione dinanzi alla Commissione il rappresentante del Consiglio di Vigilanza Bce ha ricordato che i servizi legali del Parlamento e del Consiglio europei hanno rilevato che nel formulare aspettative di vigilanza la Bce non deve superare il confine con i poteri regolamentari e legislativi, ma deve mantenere invece un’ottica orientata alle condizioni e alla rischiosità delle singole banche. E ha affermato che il provvedimento finale si muove nella logica degli interventi di secondo pilastro e pertanto in nessun caso la Bce imporrà a una banca il rispetto dei parametri dell’Addendum, se non dopo un’attenta analisi incentrata sulle caratteristiche della banca stessa.
Questa Commissione ritiene che:
- l’addendum sui nuovi crediti deteriorati dovrà essere in sintonia con la parallela attività del Consiglio e della Commissione UE di favorire la creazione di mercati secondari per l’assorbimento dei NPL;
- occorre trovare un giusto equilibrio tra l’esigenza di aumentare la velocità dello smaltimento dei NPL e la solidità patrimoniale delle banche, evitando accelerazioni che potrebbero tradursi in svendite e indebolimenti patrimoniali delle banche interessate, considerato altresì che le regole italiane per l’individuazione e il trattamento delle sofferenze e dei crediti deteriorati sono oggi particolarmente severe;
- auspica che la Commissione europea dia corso agli indirizzi del Consiglio per la definizione di uno schema orientativo per la creazione di società di gestione patrimoniale a livello nazionale dei crediti deteriorati, in cui, come recita il dispositivo delle conclusioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea dell’11 luglio scorso, «siano definiti principi comuni circa i perimetri pertinenti applicabili agli attivi e alla partecipazione, le soglie relative alla dimensione degli attivi, le norme per la valutazione delle attività, le strutture del capitale adeguate, le caratteristiche operative e in termini di governo societario, a livello pubblico e privato»;
- invita il Governo a concorrere all’elaborazione di un approccio condiviso a livello europeo per promuovere lo sviluppo di mercati secondari per i crediti deteriorati che miri a salvaguardare i diritti dei consumatori, a semplificare e armonizzare i requisiti in materia di autorizzazioni per la gestione dei crediti da parte di terzi.
9.4. Riforma del diritto penale dell’economia
Dai lavori della Commissione è emersa la necessità di costituire un nuovo presidio normativo del settore bancario-finanziario.
- Definizione del luogo di commissione dei reati di aggiotaggio al fine di determinarne la competenza per territorio
Innanzitutto la Commissione ritiene di mettere in evidenza, come sottolineato dai magistrati che sono stati auditi, l’importanza dell’azione contestuale dell’Autorità Giudiziaria e delle autorità di controllo indipendenti, ai fini dell’efficacia del sistema di prevenzione e di repressione degli illeciti nei settori bancario e finanziario. Invero il profilo della contestualità ha rilievo anche in riferimento al c.d. “doppio binario”, relativo a quelle violazioni che sono punite, sia sul versante penale, che su quello amministrativo. Sotto questo aspetto deve essere sottolineata la necessità di una costante interazione tra magistratura Banca d’Italia e Consob.
Dall’audizione dei magistrati è risultato come le fattispecie penali più comunemente contestate nei processi in cui sono stati coinvolti istituti di credito sono l’aggiotaggio, l’ostacolo all’attività di vigilanza, il falso in prospetto e, in caso di dichiarazione dello stato di insolvenza, la bancarotta fraudolenta.
Per quanto riguarda il reato di aggiotaggio informativo e manipolativo (art. 185 T.U.F. per i prodotti finanziari trattati su mercati regolamentati, art. 2637 cod. civ., per gli altri strumenti finanziari) sono stati segnalate gravi difficoltà interpretative nel determinare la competenza per territorio. E’ auspicabile un intervento legislativo, che stabilisca quale debba intendersi il luogo di consumazione di tali reati, secondo una soluzione già adottata, ad esempio, per i reati tributari (art. 18 D. Lvo 74/2000).
Il vero è che la questione è molto complessa: si tratta infatti non solo di dirimere la controversia interpretativa, che vi è e che vi è stata tra le diverse procure, ma in sostanza di stabilire se di tali reati possa occuparsi qualsiasi procura o una sola. Infatti, se si riterrà che l’aggiotaggio informativo si consumi nel luogo di invio della notizia falsa, potendo tale invio avvenire ovunque, il conseguente procedimento potrà radicarsi presso qualsiasi ufficio di procura. Se invece si stabilirà che il reato di aggiotaggio si consumi ove è il server della borsa, che diffonde la comunicazione (a sua volta filtrata da CONSOB, se inviata a mercati aperti), ovvero dove ha sede la borsa, perché ivi si verifica “l’evento-pericolo” della possibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, si concentrerà la competenza per tali condotte negli uffici giudiziari di Milano. Così si garantirebbe certamente un’elevata specializzazione, l’adozione di un protocollo d’indagine, già messo a punto e già testato, ed una maggiore uniformità di indirizzo; si perderebbe però il carattere diffuso, che connota l’intervento del potere giudiziario, valore che garantisce la sua autonomia e la sua indipendenza.
- Previsione di un più stringente collegamento tra il procedimento di applicazione della sanzione amministrativa, ed il procedimento penale per i fatti sanzionati con il c.d. “doppio binario”
Uno dei profili di criticità, in riferimento alle figure di reato di “market abuse”, su cui la Commissione ha rivolto diverse domande ai magistrati auditi, è quello derivante dalle conseguenze sull’ordinamento interno della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sul “caso GRANDE STEVENS” che, ritenendo “sostanzialmente penale” la sanzione amministrativa applicata da Consob, ha concluso fosse stato violato il divieto di “ne bis in idem”, così mettendo in crisi il sistema di doppio binario sanzionatorio (penale/ammnistrativo) previsto dal T.U.F.
Dopo tale pronuncia, la Grande Camera della CEDU con sentenza del 15.11.2016 (A. e B contro Norvegia) ha di fatto operato un revirement, affermando che: “non viola il ne bis in idem convenzionale la celebrazione di un processo penale e l’irrogazione della relativa sentenza nei confronti di chi sia stato sanzionato in via definitiva dall’amministrazione tributaria…purchè sussista tra i due procedimenti una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”. La Corte ha invitato gli Stati aderenti ad adottare meccanismi in grado di unificare i due procedimenti sanzionatori sì da garantire l’irrogazione delle differenti sanzioni da parte di un’unica autorità e nell’ambito di un unico processo.
La Commissione non può che prendere atto di tale invito, segnalando al legislatore della XVIII legislatura l’opportunità di valutare un intervento, volto quanto meno a creare un più stretto parallelismo temporale tra il procedimento di CONSOB, per l’applicazione della sanzione amministrativa, ed il procedimento penale.
Avanti alla Commissione è stato sostenuto da più parti come, anche in esito alla sentenza CEDU sul “caso GRANDE STEVENS”, appaia comunque indiscutibile che le Autorità di Vigilanza abbiano troppi ruoli. Si è ricordato come nei più importanti processi di aggiotaggio, che si siano celebrati in Italia negli ultimi anni, la Consob abbia avuto il ruolo di “vigilatore amministrativo”, che indagava sui possibili illeciti amministrativi, di “fonte della notizia di reato”, quando ebbe a rinvenire degli elementi in tal senso ed a riferirne alle procure competenti, di “giudice amministrativo”, quando ha applicato le sanzioni amministrative ed infine di “parte del processo penale”, quando si è costituita parte civile ex art. 187 undecies T.U.F.
Si rimanda alle nuove Camere la valutazione se ravvisare un’antinomia tra questi diversi ruoli.
- Creazione di nuove fattispecie penali che sanzionino le condotte di gestione fraudolenta e di truffa di mercato, anche in assenza di declaratoria di insolvenza
E’ stato più volte messo in rilievo, nel corso delle audizioni dei magistrati che il diritto penale dell’economia è di fatto incisivo solo se vi è un fallimento (o l’equipollente dichiarazione dell’insolvenza), vuoi del debitore di una banca, di tali dimensioni da far sì che le indagini sul suo fallimento finiscano per coinvolgere la banca stessa, vuoi addirittura dell’istituto di credito. E’ stato ribadito da tutti i magistrati auditi come, solo in caso di fallimento o comunque di dichiarazione giudiziale di insolvenza (che per la banca in liquidazione coatta amministrativa può essere chiesta al competente tribunale anche dal P.M. ex art. 82 T.U.B.), vi sia la possibilità di sanzionare condotte di gestione fraudolenta della società, nell’ambito della fattispecie di bancarotta fraudolenta. Tra l’altro è stato sottolineato come la riforma del diritto fallimentare del 2005 e quella di cui alla Legge Delega 155 del 2017, abbiano innovato profondamente la disciplina delle procedure concorsuali, senza invece toccare le fattispecie penali, con una sempre maggiore divaricazione tra una progressiva liberalizzazione, da alcuni definita di “stampo privatistico”, della definizione delle crisi aziendali, e l’immutato rigore della legge penale fallimentare.
Si sottopone al futuro Parlamento la valutazione della necessità di un ripensamento del diritto penale dell’economia, non su base meramente fallimentare, al fine di garantire una più adeguata tutela del risparmio, che è un bene di rilevanza costituzionale ex art. 47 Cost. (quando oggi invece è maggiormente tutelato il credito – i reati fallimentari tutelano gli interessi dei creditori- che non ha però rango di valore costituzionale, ovvero gli investimenti; si pensi ai frequenti riferimenti contenuti nel T.U.F. alla tutela degli investitori).
Il legislatore, in sede di riforma, potrà valutare se introdurre una nuova fattispecie di reato di gestione fraudolenta in caso di società in bonis, relativa a condotte poste in essere dagli amministratori e dalla dirigenza, che possa colmare le lacune normativa segnalate.
Nell’ambito delle valutazioni che, al riguardo il futuro Legislatore riterrà fare, si porrà la questione di porre comunque un limite alla possibilità per l’Autorità Giudiziaria di contestare nel merito economico gli atti di gestione in generale e le operazioni creditizie in particolare, potendo infatti essere sanzionate solo quelle azioni connotate da fraudolenza che abbiano cagionato un danno alla banca e siano state commesse per far conseguire al suo autore o a terzi un vantaggio.
Nell’ambito della più ampia tematica della gestione infedele, si pone il fenomeno del c.d. “azzardo del credito”, quando cioè in un finanziamento bancario sia la banca stessa ad aver violato le norme di verifica preventiva sulla solvibilità e sull’affidabilità del soggetto finanziato. L’ordinamento prevede delle fattispecie penali per i casi in cui sia stato il beneficiario del credito ad aver violato le regole (si pensi al mendacio bancario o al ricorso abusivo al credito), mentre non appare adeguatamente stigmatizzata la condotta illecita, posta in essere in seno alla banca.
E’ stata altresì segnalata alla Commissione la mancanza di uno strumento adeguato per sanzionare quelle frodi di mercato, che non rientrino nelle figure di aggiotaggio manipolativo o informativo. E’ stato segnalato ad esempio come non risulti sanzionata penalmente la condotta di emissione di obbligazioni per mezzo di società di comodo, costituite all’estero (si parla comunemente in questi casi di “esterovestizione”) per aggirare i limiti dell’ordinamento interno in materia di emissioni obbligazionarie. Le condotte di collocamento in Italia presso il pubblico, di tali obbligazioni, formalmente emesse da un soggetto straniero, sono state ricondotte dalla giurisprudenza alla fattispecie di truffa o, in caso di dichiarazione di insolvenza, di bancarotta fraudolenta, fattispecie che o non sono adeguate, o non sono applicabili, se non in caso di fallimento.
- Creazione di una nuova fattispecie penale che sanzioni l’induzione, da parte dell’istituto di credito, del soggetto finanziato ad acquistare strumenti finanziari dell’istituto stesso.
Per quanto concerne l’erogazione del credito sono poi emersi numerosi casi in cui la stessa è stata condizionata al contestuale utilizzo di parte del finanziamento per l’acquisto di azioni o di obbligazioni della banca. Tali condotte di per sé non sono facilmente inquadrabili nell’ambito penale, non essendovi una fattispecie che sanzioni o l’imposizione, o anche solo la richiesta a titolo di “piacere” di tale operazione da parte della banca nei confronti del cliente. Alcuni Commissari hanno ipotizzato la possibilità di ritenere integrata un’estorsione da parte della banca, ma può non essere sempre facile ricondurre l’induzione, nell’ambito di una trattativa commerciale, alla condotta di minaccia di un male ingiusto. Nei casi in cui non vi sia stata una vera e propria imposizione, ma una richiesta di un “do ut des”, forse potrebbe ritenersi integrato il reato di corruzione privata (art. 2635 cod. civ.), procedibile però a querela della banca stessa e quindi di fatto assai raramente applicabile.
La Commissione ritiene che il Parlamento potrà valutare se introdurre una fattispecie che sanzioni condotte di questo genere e comunque rivedere complessivamente la normativa sul conflitto di interessi e sulla condotta di gestione infedele, quanto meno nell’ambito bancario e prevedere la procedibilità d’ufficio per detti reati e per il reato di corruzione privata, se commessa in ambito bancario.
- Procedibilità d’ufficio per i reati di infedeltà patrimoniale e corruzione privata, se commessi in seno ad istituti bancari o a società quotate o con azionariato diffuso
Più in generale i magistrati requirenti auditi dalla Commissione hanno lamentato la difficoltà operativa, relativa ai reati procedibili a querela in questo comparto. Il futuro legislatore dovrà valutare come, a fronte della diffusività del danno di condotte d’infedeltà patrimoniale e di corruzione privata, poste in essere da amministratori di banche, si debba pensare o alla procedibilità d’ufficio o ad una legittimazione a proporre la querela allargata al ceto dei soggetti danneggiati.
La scelta fatta finora di subordinare l’intervento dell’A.G. alla querela della persona offesa derivava dalla consapevolezza che l’indagine penale, svolta all’interno di un’impresa privata in bonis, potrebbe cagionarle un irreversibile danno all’immagine, al funzionamento e quindi all’economia sua ed eventualmente del suo indotto.
Questa considerazione è da tenere in gran conto, anche alla luce del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, che comporta l’obbligo, in capo al pubblico ministero non solo di esercitare l’azione penale, quando ve ne siano i presupposti in fatto ed in diritto, ma, ancor prima, di condurre le indagini per verificare la sussistenza di tali presupposti.
Tali profili potrebbero essere risolti prevedendo una riserva di indagine all’interno della società in capo all’autorità di vigilanza, alla quale il P.M. dovrà affidare gli accertamenti del caso, ed una soglia di rilevanza penale o una soglia di rilevanza cui far dipendere il passaggio dalla procedibilità a querela alla procedibilità d’ufficio.
- Creazione di procure distrettuali per i reati finanziari e di una procura nazionale di coordinamento
I reati di aggiotaggio, di falso in bilancio, di ostacolo alla vigilanza, di falso in prospetto sono connotati da una technicality molto sofisticata e richiedono per la loro persecuzione una expertise professionale ed un’assoluta indipendenza. Da valutare è poi anche l’impatto straordinario che processi di queste dimensioni hanno sul funzionamento dei tribunali periferici, per celebrare i quali sono costretti a trascurare gli altri procedimenti.
Questa riflessione e non certo una valutazione negativa dell’operato dell’A.G. dei tribunali di provincia, dovrà essere ulteriormente approfondita in sede di valutazione della necessità di concentrare nel tribunale capoluogo del distretto la competenza per questo tipo di reati.
La Commissione ha considerato due possibili ipotesi:
- prevedere la competenza distrettuale per i reati economico-finanziari, con correlata istituzione di sezioni specializzate in seno ai tribunali, atteso che per queste materie la specializzazione deve riguardare non solo i pubblici ministeri, ma anche gli uffici giudicanti. Si dovrà poi conseguentemente valutare la necessità di aumentare gli organici delle procure e dei tribunali distrettuali.
- prevedere una Procura Nazionale per i reati economici e finanziari, che consenta il raggiungimento dei seguenti obiettivi: a) valorizzare e migliorare le specializzazioni degli organi inquirenti e giudicanti; b) potenziare gli strumenti di coordinamento e collegamento delle indagini; c) prospettare indirizzi in materia di competenza; d) migliorare le sinergie tra forze di polizia, nuclei specializzati in materia di reati economici, pubblica amministrazione e organi vigilanti.
Il futuro Parlamento nella sua autonomia dovrà valutare se il numero dei procedimenti in corso in tutta Italia, per fatti di rilevanti dimensioni, e la tipologia dei reati in questione, che raramente sono connotati da ramificazioni sul territorio e quindi dalla necessità di una costante messa in comune dei dati raccolti nelle indagini, richiedano la costituzione di una Procura Nazionale. Tra l’altro si potranno valutare gli effetti della nuova disciplina dell’avocazione da parte delle Procure Generali presso le Corti d’Appello, introdotta dalla riforma Orlando, volte a garantire dal rischio che indagini importanti (e quindi anche quelle relative a queste tematiche) rimangano irrimediabilmente ferme.
Con l’introduzione del bail-in e il conseguente coinvolgimento nelle perdite delle banche in crisi, non solo degli azionisti ma anche degli obbligazionisti subordinati, e financo dei depositanti oltre la soglia coperta dall’assicurazione dei depositi, diventa ineludibile rafforzare la tutela del risparmio, costituzionalmente garantita, lungo più direzioni.
La Commissione ritiene necessaria una semplificazione dei documenti informativi di emissione e quelli di successiva vendita alla clientela così da offrire una rappresentazione efficace, sintetica chiara e comprensibile dei fattori di rischio.
Alcune evidenze mostrano come, pur al di là dei casi di falso in prospetto, una debole presenza di un punto di vista c.d. “consumer-based”, limiti comunque l’effettiva capacità di comunicare nei prospetti informativi la situazione degli enti vigilati in maniera pienamente comprensibile anche da consumatori meno evoluti. Sarebbe necessaria, pertanto, una maggiore sensibilità ed attenzione in ordine alla “consumer protection“, intesa quale insieme delle azioni che pongono il consumatore nella condizione di scegliere un prodotto, pur non avendo una sufficiente conoscenza dei suoi attributi e delle eventuali alternative che potrebbero emergere da un’approfondita analisi comparativa, conducibile senza costi aggiuntivi per lo stesso. Dal sostegno ai corretti processi di consumo (in questo caso di prodotti finanziari) si derivano positivi effetti anche in termini di equità sociale, benessere collettivo e sviluppo.
La Commissione ha indagato sulle motivazioni della decisione, adottata da CONSOB nel 2011, di eliminare la segnalazione (nei prospetti) degli scenari probabilistici, che in riferimento alle obbligazioni subordinate erano tali da fornire un’informazione immediatamente comprensibile per l’investitore. Il Presidente di Consob ha messo in rilievo l’incertezza dei criteri di calcolo, la possibilità che tale informazione potesse essere fuorviante e il fatto che la proposta non sia stata accolta in sede europea e di Direttiva Mifid 2.
Si tratta di un argomento discusso in sede tecnica con opinioni non concordanti sul metodo utilizzato. La Commissione ritiene che un ulteriore approfondimento in sede tecnica sulla opportunità di reinserire gli scenari probabilistici nei prospetti sia opportuna così come le alternative possibili per la pubblicazione di informazioni sintetiche e comprensibili al risparmiatore del rischio del singolo strumento sottoscritto, quali anche la strada indicata da Consob della emanazione di linee-guida sulle avvertenze per l’investitore, contenute nei prospetti informativi, con l’obiettivo di fornire nelle prime pagine e in piena evidenza grafica una rappresentazione sintetica ed efficace dei profili di rischio più rilevanti ed innalzare con ciò il grado di consapevolezza dei risparmiatori.
- Attribuzione a Consob di maggiore potere regolamentare su questionari della profilatura e della valutazione di adeguatezza prevista dalla MIFID nonché di determinazione di limiti al taglio minimo per strumenti finanziari rischiosi
Questa Commissione ritiene opportuno approfondire se rafforzare il potere regolamentare alla Consob in modo da definire gli standard minimi di questionario, l’algoritmo di profilatura (che dalle risposte fornite definisce le caratteristiche rilevanti del cliente), le più opportune modalità di somministrazione nonché la determinazione di tagli minimi dei prodotti finanziari più rischiosi destinati al mercato retail da prevedersi via via più elevati con l’incremento del rischio.
Questo aspetto è già stato evidenziato sopra al punto 4). Qui si ribadisce che ai fini di una maggiore tutela del risparmio è opportuno dare piena attuazione al terzo pilastro dell’Unione Bancaria.
- Separazione tra l’attività bancaria e l’attività finanziaria
La Commissione non ha avuto tempo e modo di affrontare il tema della separazione delle attività bancarie, che è stato invece oggetto dell’indagine conoscitiva della VI Commissione Permanente Finanza e Tesoro del Senato, agli atti di questa Commissione. Qui si rileva come il tema della separazione dell’attività bancaria sia stato dibattuto proprio nell’ottica di tutelare i risparmiatori, mettendoli al riparo dai rischi propri dell’attività di trading e in derivati, più rischiosa. In questa prospettiva la Commissione Europea aveva presentato nel gennaio del 2014 due proposte di regolamento connesse al c.d. rapporto Liikanen con l’obiettivo di migliorare la stabilità finanziaria dell’Unione, in particolare:
– Il regolamento sulle misure strutturali volte ad accrescere la resistenza degli enti creditizi dell’UE, proposta 2014/0020 (43) “Regolamento sulle misure strutturali”
– Il regolamento sulla segnalazione e trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli – proposta 2014/0017 (40) “Regolamento sulla trasparenza”.
Il regolamento sulle misure strutturali si poneva nella direzione della separazione delle attività che comportano rischi per le banche (il market making, i derivati OTC, le cartolarizzazioni, escluse le attività di negoziazione del debito sovrano). Queste attività sarebbero dovute essere svolte da una banca di trading, un’entità giuridica separata dalla banca commerciale. La banca di trading non avrebbe potuto detenere depositi bancari, né svolgere servizi di pagamento, che restavano prerogative della banca commerciale. Alla banca di trading sarebbero stati applicati requisiti prudenziali.
La riforma avrebbe dovuto essere applicata per le banche UE di importanza sistemica a livello globale e a quelle che per 3 anni consecutivi avessero superato determinate soglie. La Commissione stimava che le banche europee interessate dalla proposta fossero 29.
Tra le ragioni della proposta vi era quella di creare un sistema finanziario più sicuro ed impedire l’utilizzo di risorse derivanti dal risparmio della clientela per attività di trading e più in generale speculative. Da più parti venivano altresì segnalati i maggiori costi che tale separazione avrebbe comportato ed altri aspetti negativi in quanto la proposta appariva in contrasto con l’obiettivo europeo di creare un capital market union e comportava il rischio di migrazione delle attività di trading verso entità meno regolamentate (shadow banking) al di fuori dell’Unione Europea.
In Italia sono stati presentati 15 disegni di legge (9 al Senato e 6 alla Camera) volti ad attuare una separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari attraverso delega al governo per modificare il T.U.B che tuttavia non hanno avuto seguito.
Si ricorda che nel Programma di lavoro per il 2018, presentato il 25 ottobre 2017, la Commissione Europea ha annunciato il ritiro della proposta di Regolamento sopra citata anche in quanto gli obiettivi di stabilità finanziaria perseguiti dalle misure di separazione ivi previste possono ritenersi già raggiunti grazie all’adozione delle altre misure regolamentari inerenti il sistema di vigilanza e di risoluzione dell’Unione bancaria.
Questa Commissione ritiene che il futuro parlamento potrebbe tornare ad esaminare l’argomento alla luce del nuovo contesto normativo e regolamentare europeo, e della considerazione che nel caso si ritenesse di riproporla come posizione del Parlamento italiano, andrebbe discussa e adottata in ambito europeo, dal momento che una decisione di un solo paese risulterebbe inefficace, in regime di libera prestazione di servizi in ambito europeo.
La Commissione concorda sul punto che la prima ed effettiva tutela del risparmio passi per una diffusa consapevolezza finanziaria. Al riguardo è stato già presentato al Senato un disegno di legge intitolato “norme all’educazione sulla cittadinanza economica” che dispone “misure ed interventi volti a sviluppare la pratica educativa della cittadinanza economica”, sia dei giovani in età scolare, che delle collettività in età adulta, e che prevede la realizzazione, in una prima fase in via sperimentale, di programmi formativi per i giovani e per gli adulti, nonché la costituzione presso il Ministero dell’Istruzione di un Comitato tecnico-scientifico che dovrà valutare il loro stato di attuazione e gli effetti conseguiti.
La Commissione ritiene che questa sia la giusta direzione da intraprendere. Nessuna informazione tecnica, nessun prospetto illustrativo potrà mai garantire una scelta consapevole da parte dell’investitore e del risparmiatore, se questi non possiede un bagaglio minimo di educazione finanziaria che permetta al risparmiatore di apprezzare il grado di rischio di un prodotto approfondito.